Una testa giornalistica italiana parla spesso della Ferrari. Credo sia alquanto normale. Soprattutto se lo scenario non corrisponde agli aneliti tanto bramati. Una pletora di parole spese per cercare di capire cosa sia successo. Il presupposto: se loro stessi non hanno le idee, figuriamoci noi che non siamo in possesso dei dati. Oltre alle analisi tecniche basate su fatti concreti, interpretati per provare a “spiegare” il momento no della Rossa, ci sono altri temi interessanti sui quali disquisire.
Cruciale: aggettivo della lingua italiana che descrive alla perfezione l’importanza del simulatore nell’attuale Formula Uno. L’assenza di test in pista, provvedimento attuabile nelle sole prove libere per racimolare conferme, fa si che il modello virtuale della vettura studiato nei minimi dettagli assuma un ruolo decisivo per il rendimento in pista.
Ora, avere a disposizione un simulatore di ultima generazione, capace di supportare al meglio delle possibilità i tecnici nel loro difficile lavoro, si attesta come imperativo non prescindibile sul quale viene costruito l’esito di un intero progetto. Sottolineato l’ovvio resta l’opinabile. Sì perché per quanto la tecnologia possa supportare l’uomo, l’erroneo utilizzo dei dispositivi in questione porta a risultati forvianti e, di conseguenza, poco utili alla causa.
Ferrari: gli strascichi dell’era pistaiola
C’era una volta la storica scuderia emiliana. Un team di certo non perfetto. Sbagliava? Sì. Costruiva vetture con dei limiti? Sì. Tuttavia aveva una forte capacità di reazione legata alla pista. In tempi non sospetti, era Schumacher, il Cavallino Rampante aveva a disposizione 3 piste per testare le vetture. La delibera di un aggiornamento avveniva tramite un iter ben preciso. Up date “validati” attraverso test reali svolti sul circuito da più piloti, impegnati a fornire il proprio feedback per verificare la bontà del lavoro in fabbrica.
Il passo successivo riguardava lo studio di lap time e telemetria nei tratti guidati. Conclusa la mission non c’erano più segreti relativi alla solidità delle modifiche. Nessun question mark attanagliava le menti degli ingegneri, consci sull’effettività effettiva dei papabili miglioramenti. Tale scenario è stato abolito tempo fa, distruggendo di fatto una task force che ha dato vita a innumerevoli vantaggi della Ferrari sulla concorrenza.
La forza lavoro in GES sapeva di perdere un punto di forza mostruoso ma tramite Montezemolo, “sicario maldestro” del beneficio maranelliano, abbassò il capo verso i britannici. Resta da capire (non lo sapremo mai) se si trattò di superbia relativa alla superiorità intrinseca guardandosi allo specchio oppure, chissà, un atto di sportività verso glia avversari.
Quegli inglesi che, increduli, una volta messa la firma dall’eforato italiano sulla cancellazione dei test, fecero una festa da mille e una notte, per molte notti. “Ma che sport è se non ci si può allenare?“ aveva detto Luca Cordero, anni più tardi. Forse, ragionandoci su, era meglio pensarci prima.
Ferrari al simulatore: soggettivo vs oggettivo
Mentre la parentesi passata espressa nel blocco precedente spiega in qualche modo il futuro, lo scritto prosegue tornando al presente. Information technology, insieme di metodologie utilizzate in diversi ambiti per archiviazione, trasmissione ed elaborazione dati tramite l’uso elaboratori. Questa, in estrema sintesi, la funzione che anche in F1 viene applicata attraverso le “macchine simulatrici”.
Pensare che Ferrari, su questo ambito, si trovi passi indietro rispetto alla concorrenza resta una mera congettura di fatto non verificabile. Con ogni probabilità, prendendo in esame il ventaglio delle ipotesi, risulta certamente più realistico “accettare” uno scenario che descrive una certa difficoltà legata alla metodologia.
Le annate gloriose della Rossa nascono dalla pratica, mentre l’era simulativa della massima categoria del motorsport ha espresso un fatto difficilmente inconfutabile: Ferrari fatica parecchio in tale contesto. Un simulatore risponde alla definizione di “calcolatore” nel quale vanno inseriti i dati che, erronei, creano una prospettiva impropria. Qui arriviamo al punto: le informazioni introdotte all’interno di questi computer provengono dalla pista.
Pertanto, logica alla mano, immagazzinare dati significa altresì farlo in modo qualitativo. Aspetto sul quale, presumibilmente, altre scuderie incontrano meno difficoltà rispetto a Ferrari. Validare tale operazione significa giudicare corretti i risultati ottenuti attraverso il modello virtuale. Da qui prendono vita le famose interpretazioni degli ingegneri tanto chiacchierate e riassunte dall’oramai illustre locuzione binottiana: “dobbiamo capire“.
L’esito del ragionamento porta diretto ad una conclusione: affidarsi a simulatori efficientissimi senza una giustezza relativa ai dati raccolti fornirà un quadro della situazione ingannevole. Rastrelliere varie ed eventuali, flow viz, constant speed, sensori sospesivi, schematizzazione modello di penumatico e quant’altro.
Strumenti che, utilizzati senza la perfettissima cognizione di causa scaturita dalla benché minima mancanza di pratica, trasformano i dati raccolti pronti allo stoccaggio da oggettivi a soggettivi cancellando la fattualità del lavoro svolto. Sarà questo il male oscuro della Ferrari nell’era simulativa?
Autori: Alessandro Arcari – @berrageiz
Immagini: Scuderia Ferrari