Sin dai pre season test 2023 si cercano i “segreti” di una vettura spaziale: la Red Bull RB19. Di fatto, la maggioranza delle scuderie stanno assimilando e provando a copiare i concetti proposti dal gruppo di lavoro capitanato da Adrian Newey, specialmente dal punto di vista aerodinamico.
Abbiamo cercato più volte di carpire quelle caratteristiche aero-meccaniche per le quali i bolidi austriaci, soprattutto in gara, riescono a proporre un ritmo davvero al top. Nel complesso abbiamo ormai capito che, l’understanding del team di Milton Keynes sulla propria vettura, è decisamente più alto rispetto alle altre squadre.
Uno degli ingredienti per accedere al mix perfetto riguarda senza dubbio il bagaglio culturale che possiedono quando si parla di efficienza aerodinamica. Un’auto capace di generare molto carico dal corpo vettura, ottenendo comunque ottime velocità di punta sul dritto.
Lo stallo del fondo
Le vetture colorate blu racing della passata generazione erano decisamente più carenti sotto questo punto di vista. Per questa ragione, studiando a fondo il nuovo corpo normativo, molto è stato fatto per migliorare questa prerogativa assente nel recente passato.
Fino al 2021 era pratica quasi comune far stallare il fondo in rettilineo, compito svolto al meglio da Mercedes e Ferrari. Grazie alla sospensione posteriore si otteneva una risposta non lineare del terzo elemento il quale, oltre un certo carico applicato, cedeva e abbassava il retrotreno. Sulla Red Bull tale contesto era più graduale, dando quindi un vantaggio minore.
Sebbene far stallare gli elementi aerodinamici nelle attuali vetture sia molto più difficile, i vantaggi, anche se minori, restano effettivi. La complicatezza dell’operazione risiede nel “riattaccare” la vena fluida quando si torna nelle fasi in cui serve carico. Inoltre il termine stallo non rende esattamente l’idea di ciò che accade sulle monoposto.
Stallare una componente aerodinamica significa che lo strato limite, adiacente al fondo, non riesce a seguire la parete su cui scorre e quindi si stacca. Il carico prodotto dall’elemento stesso diminuisce improvvisamente, ma al contempo aumenta esponenzialmente la resistenza all’avanzamento. Fattore che non deve assolutamente verificarsi altrimenti “il sacrifico” non produce un utile proporzionato.
Normalmente, nel momento in cui avviene lo stallo dell’elemento, la vena fluida su stacca, il flusso diviene turbolento, rallenta e di riflesso accresce la resistenza all’avanzamento. Pertanto si cerca di ridurre il più possibile la turbolenza generata e, contestualmente, isolare il fenomeno alla sola perdita di carico verticale.
Come stalla una beam wing?
In questi mesi sulle nostre pagine abbiamo approfondito molto il tema fondo-diffusore. Sappiamo bene quanto questi elementi siano difficili da mantenere nella corretta posizione per generare il quantitativo di carico ottimale. Ferrari e Mercedes, infatti, stanno avendo diversi problemi proprio su questo aspetto.
Al momento le scuderie non stanno facendo stallare il fondo, in quanto elemento ancora troppo delicato. Non escludiamo che in futuro qualche soluzione venga a galla, ma attualmente i tecnici stanno ancora ricercando il giusto utilizzo del fondo per ottimizzare le prestazioni nell’arco della tornata.
C’è però un elemento sul quale gli ingegnerei hanno dedicato parecchio interesse. Parliamo della beam-wing, componente della vettura che può “reggere lo stallo”. In Red Bull, di fatti, si sfruttando al massimo delle possibilità questa operazione per trarre il maggior beneficio possibile che, ovviamente, ha un chiaro riflesso sui riscontri cronometrici. Ma andiamo con calma.
La beam wing è quell’elemento che trova ubicazione alla base dell’ala posteriore. Seppur non possegga dimensioni smisurate ha comunque un notevole effetto sul carico prodotto per due ragioni molto semplici: lavora con aria abbastanza pulita e, unitamente all’ala posteriore stessa, aumenta il lavoro di estrazione dal diffusore. Di fatto è un prolungamento di quest’ultimo.
Tuttavia lo “stallo imposto” della beam wing non avviene in un momento qualsiasi. Al contrario si verifica quado viene azionato il DRS per ridurre la resistenza all’avanzamento dell’auto, momento nel quale Red Bull riesce ad ottenere una percentuale maggiore di guadagno non appena si apre il flap mobile.
Per riuscire nell’operazione di far stallare un’ala bisogna farla lavorare con un maggior angolo d’attacco. Tecnicamente parlando, bisogna infatti cercare di ottenere un gradiente di pressione elevato sull’ala, in modo che questa vada in stallo. Tuttavia la beam wing è “solidale” all’ala posteriore. Per ciò, come avviene questa operzione?
Nel momento in cui si apre il DRS l’effetto upwash dato dall’ala posteriore viene ridotto. In altre parole la specifica mobile viene meno nella generazione globale del carico e il solo main plain, decisamente meno inclinato, resta l’unico elemento incaricato alla downforce. In tale contesto il fluido si stacca dall’ala con un angolo decisamente minore.
Questa attività ha un effetto sulla beam wing perché l’elemento lavorerà in un campo di pressione decisamente differente. Viene a mancare parte dell’upwash e, di conseguenza, la beam wing stessa è come se si trovasse a lavorare con un angolo d’attacco maggiore del previsto. In questo modo si porta l’ala in quella regione dove potrebbe stallare. Lo stesso discorso non può essere realizzato con il profilo principale dell’ala posteriore, in quanto ha un incidenza minore. Tuttavia l’apertura del flap aggiuntivo porta ad un decremento del carico prodotto, fattore che avviene su tutte le vetture.
Red Bull: lo stallo della beam wing
Chiarito il concetto del funzionamento aerodinamico relativo allo stallo della beam wing, passiamo ora ad analizzare due vetture della griglia. Prendiamo quindi in esame le soluzioni studiate e proposte da Red Bull e Ferrari, realizzando una verifica tecnica comparativa delle specifiche adottare sulla RB19 e sulla SF-23.
Per cercare di capire come i due elementi in fase di valutazione si comportino nello specifico andiamo ad osservare attentamente l’immagine a seguire. Innanzi tutto un fatto: già dalla passata stagione la vettura di Milton Keynes adotta al retrotreno un secondo profilo della beam wing che presenta una corda maggiorata rispetto agli altri competitor.
Questo significa che la monoposto è in grado di produrre un livello di spinta verticale superiore. Tuttavia per far lavorare un profilo che dispone di un’inclinazione più accentuata attraverso una corda maggiore, lo studio che i tecnici devono necessariamente realizzare per rendere effettivo tale contesto risulta molto impegnativo, in quanto l’interazione con l’ala posteriore dev’essere perfetta.
Senza questa importante premura, quindi, il fluido tenderebbe a staccarsi dal corpo vettura molto facilmente visto che l’angolo di attacco e la corda sono molto accentuati. Condizione aerodinamica che porterebbe facilmente allo stallo.
Per riuscire a mantenere la vena fluida attaccata al dorso di questo profilo, pertanto, ci si deve obbligatoriamente avvalere dell’ala posteriore stessa che, nel mentre, riesce a produrre un grosso effetto upwash. Quando il flap mobile si apre questo effetto viene meno e le condizioni per mantenere attacco il fluido non ci sono più e la beam wing subisce una riduzione critica del coefficiente di portanza.
Come affermato nei paragrafi precedenti dello scritto, il compito di far stallare la specifica senza aumentare la resistenza all’avanzamento non è affatto facile. Per questo “interviene” il primo profilo della beam wing che, nel caso specifico di Red Bull, con ogni probabilità riesce a ridurre le turbolenze che vengono a crearsi.
Attraverso l’illustrazione precedente relativa alla RB19 la questione, osservando le frecce blu disegnate sulla beam wing, possiamo veder raffigurato l’andamento del flusso. Nella parte alta è rappresentata la situazione aerodinamica con il sistema DRS chiuso, mentre quella in basso raffigura cosa accade non appena il flap mobile si apre sulla vettura che attualmente comanda la classifica iridata dei costruttori.
Autori: Alessandro Arcari – @berrageiz – Niccoló Arnerich – @niccoloarnerich
Immagini: Scuderia Ferrari – Oracle Red Bull Racing