lunedì, Dicembre 23, 2024

Ferrari: il preoccupante vuoto di carisma

E’ un dato di fatto che in ambito sportivo nelle piazze “bollenti” siano necessarie figure di spessore professionale e mentale superiore alla media per poter reggere la pressione dell’ambiente. Ferrari, quindi, non fa eccezione. Atleti o tecnici il cui valore non possa essere messo in discussione ai primi risultati negativi in relazione ad abilità e un palmares inattaccabili. Viceversa, brillanti professionisti che non hanno ancora raggiunto importanti traguardi, calati in una realtà esigente ed affamata di successi rischiano di bruciarsi aldilà dei propri demeriti.

In ambito calcistico ad esempio tale dinamica è molto più rapida. Basti pensare a quanti giovani talenti non hanno confermato ad alti livelli le proprie qualità oppure agli allenatori esonerati prima di aver trasferito il proprio credo tattico alla propria squadra. In F1 se esiste una realtà bollente ed esigente per definizione questa risponde al nome della Scuderia Ferrari.

La storia del Cavallino Rampante è costellata di piloti ed ingegneri troppo spesso ritenuti inadeguati al conseguimento dell’unico obiettivo possibile: il conseguimento de titoli iridati. Emblematica il tal senso è stata la “dipartita” di James Allison frettolosamente esautorato dalla scuderia italiana per poi raggiungere la meritata consacrazione in Mercedes.

Ferrari
James Allison e Sebastian Vettel

Professionista talmente brillante da essere richiamato in fretta e furia da Wolff per rimediare ai fallimentari progetti supervisionati da Mike Elliot. Dopo la morte del Drake, le sorti sportive del team di Maranello sono state scritte da piloti e tecnici il curriculum non poteva essere in alcun modo essere messo in discussione. Da Prost che sfiorò il titolo nel 1990 fino all’epoca d’oro di Schumacher, assecondato da manager vincenti del calibro di Ross Brawn e Rory Byrne.

Ferrari
Alain Prost e Michael Schumacher

Un paradigma completamente opposto a quello del fondatore della storica scuderia modenese, in cui a vincere era il mezzo indipendentemente dal pilota. Filosofia in base alla quale un semisconosciuto ragazzo canadese di Saint-Jean-sur-Richelieu venne scelto da Ferrari non senza tante perplessità. All’epoca il team di Maranello riusciva ad essere al vertice della categoria con una certa costanza e le polemiche sui diversi errori commessi da Gilles potevano essere strenuamente difesi dal “Grande Vecchio”.

Tornando ai nostri giorni, la scuderia italiana sembra essere tornata a sposare la filosofia del suo fondatore. Nessuna figura apicale del Cavallino Rampante (compresi i piloti, nda) annovera nel proprio curriculum un titolo mondiale nel circus. E’evidente che per tutti c’è una prima volta ma se guardiamo a Red Bull, lo zoccolo duro dell’attuale team è costituito dalle figure chiave che hanno contribuito alla conquista dei quattro titoli iridati consecutivi di Sebastian Vettel: da Christian Horner a Helmut Marko fino al genio di Adrian Newey.

Ferrari
Da sinistra: Helmut Marko, Sebastian Vettel, Adrian Newey e Christian Horner

Stesso discorso dicasi per Mercedes, sorta sulle ceneri della Brawn GP, che fece incetta dei titoli iridati nel 2009 e che poteva contare su Lewis Hamilton già campione del mondo nel 2008.

F1: in Ferrari esiste un vuoto di autorevolezza trasversale?

L’autorevolezza è un ingrediente essenziale del carisma e della leadership: chi la possiede è naturalmente predisposto ad essere ascoltato e tenuto in grande considerazione, mentre chi non ce l’ha farà sempre una fatica maggiore per aggiudicarsi l’attenzione di cui ha bisogno, al di là dei meriti effettivi. E per esperienza dello scrivente, le linee inferiori nella scala gerarchica di una grande realtà aziendale impiegano un nanosecondo per comprendere lo spessore dei propri manager.

Quando Schumacher commetteva un errore, chi avrebbe potuto mai mettere in discussione il suo valore assoluto? Quando Byrne progettò auto inferiori alla McLaren nel 998 e nel 99 chi poteva minimamente pensare di defenestrare un progettista capace di realizzare monoposto iridate in Benetton? Se Leclerc avesse conquistato un titolo iridato, Mattia Binotto avrebbe potuto agitare minacciosamente il suo ditino nei confronti del monegasco nel rovente dopo gara di Silverstone dello scorso anno?

Ferrari
Mattia Binotto ammonisce Charles Leclerc al termine del Gran Premio d’Inghilterra 2022

La sensazione è che in Ferrari serva un ingente trasfusione di profili dotati di abbondante pelo sullo stomaco, in grado di affrontare la tempesta in virtù di qualità certificate che non possono essere messe in discussione. In assenza di tali figure, il team rischia di rimanere “forever young” (per sempre giovane, nda) frase frequentemente utilizzata da Mattia Binotto a giustificazione di una crescita non ancora raggiunta da molti componenti della scuderia italiana.

La strada intrapresa dai vertici della Ferrari ingaggiando Vasseur è molto rischiosa proprio perché in controtendenza rispetto alle scelte vincenti del passato. Il tempo a Maranello scorre molto più velocemente rispetto agli altri team…


Autore: Roberto Cecere – @robertofunoat

Foto: F1, Scuderia Ferrari, Oracle Red Bul Racing

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