Il bando dei test privati in F1 e il crescente realismo dei sistemi di simulazione hanno di fatto rivoluzionato le modalità di collaudo delle monoposto. Sino a qualche anno fa, una delle qualità dei piloti era la capacità di mettere a punto la vettura, aspetto non necessariamente detenuto dai campionissimi.
Basti pensare che uno dei tasselli del mosaico vincente della Ferrari di inizio millennio targato Luca Cordero di Montezemolo, era l’apporto fornito dal trevigiano Luca Badoer, divenuto negli anni uomo di fiducia e successivamente grande amico del sette volte campione del mondo Michael Schumacher.
Il pilota di Montebelluna, nonostante una carriera che non gli ha fornito la gioia di alcun piazzamento a punti, era un instancabile collaudatore. I feedback di Luca sono stati fondamentali per la crescita e la preparazione delle rosse per i successivi weekend di gara.
Lo stesso dicasi per Riccardo Patrese, che negli anni precedenti al dominio di Mansell e Prost contribuì in maniera decisiva alla crescita del propulsore Renault dotato dell’innovativo sistema di richiamo pneumatico delle valvole e delle rivoluzionarie sospensioni attive.
Tale premessa è necessaria per comprendere l’evoluzione del “mestiere” di pilota, in relazione al progresso tecnologico e alle restrizioni imposte dagli attuali regolamenti sportivi. In passato era molto frequente che i piloti fossero dotati di un know how tecnico in grado di dialogare con gli ingegneri, entrando nel merito tecnico delle soluzioni tecniche adottate.
L’evoluzione dell’elettronica e dei sistemi di simulazione ha richiesto nel tempo dei feedback diversi. Oggi risulta davvero complesso individuare un pilota che possa fare crescere una monoposto, mentre è molto più frequente che gli ingegneri cerchino di assecondare le richieste degli stessi in termini di guidabilità. Del resto, nonostante i potenti e costosi simulatori utilizzati dai team che forniscano un’approssimazione del comportamento dell’auto, le sensazioni riscontrate in pista a volte possono essere molto difformi.
L’attuale generazione di piloti scopre il reale comportamento delle vetture solo durante i turni di prove libere, mancando di quel background che solo migliaia di km possono fornire per indirizzare il lavoro della squadra. Alonso e Hamilton restano ormai gli ultimi baluardi della vecchia guardia, che hanno avuto la fortuna di accrescere il loro know how nel contesto reale fino a fine 2008, ovvero sino quando i test privati e collettivi erano ancora in vigore.
E non stupisce affatto che il Re Nero abbia la sensibilità di individuare con una certa facilità i problemi della propria monoposto. Nei primi tre Gran Premi della corrente campagna agonistica, infatti, ha prontamente indicato la posizione di guida avanzata come una delle caratteristiche che lo mette in disagio nella guidabilità della W14.
F1: Le difficoltà di Hamilton evidenzia la marginalità delle qualità di collaudo dei piloti
Finché Mercedes ha prodotto vetture vincenti, al pilota britannico è bastato mettere in pista la sua abilità al volante per annichilire la concorrenza. Tuttavia, già nella passata stagione, era evidente che le indubbie capacità di collaudatore di Lewis erano poco funzionali nel processo di crescita della W13 ”B”.
Nelle poche volte che il lavoro di setup è stato indirizzato dal pluricampione del mondo di F1 i risultati sono stati disastrosi, Un esempio lampante si scorge nel Gran Premio di Jeddah 2022, appuntamento iridato nel quale il pilota di origine caraibica impose scelte di setup assolutamente non condivise dalla scuderai tedesca.
E non è un caso che proprio Hamilton sia uno dei piloti poco inclini al lavoro al simulatore, se non strettamente necessario per testare nella realtà virtuale eventuali update alla monoposto. Analogamente a Michael Schumacher che aveva difficoltà visive nelle sessioni estenuanti in tale attività.
E’ abbastanza stucchevole la designazione dei test driver da parte delle scuderie, che altro non sono che piloti deputati al lavoro al simulatore e, nella migliore delle ipotesi, un’opzione per un volante improvvisamente libero come accaduto a De Vries nel Gran Premio di Monza dello scorso anno.
Nella F1 moderna la qualità dei piloti si limita alla sola abilità di guida?
Nella Formula 1 moderna la qualità dei driver è funzionale alla sola abilità di guida? In passato a campioni del calibro di Schumacher, Prost e Senna erano riconosciute indubbie qualità nel far crescere le prestazioni del mezzo.
Nella Formula “Metaverso” il pilota ha ancora il margine per indirizzare il lavoro del team e lo sviluppo del mezzo oppure e solo un asso del volante che deve ottimizzare il lavoro svolto da complessi algoritmi che determinano la geometria della monoposto, degli update e delle strategie di gara?
Autore e grafiche: Roberto Cecere – @robertofunoat