Sette su sette, un en plein Red Bull che sta rendendo questo campionato di F1 un film monotono, movimentato solo dalla speranza, sistematicamente disillusa, di vedere un competitor emergere da dietro per andare a spezzare il regno di Max Verstappen che, con cinque di quelle sette vittorie, ha iniziato ad aprire un solco che difficilmente Sergio Perez riuscirà a chiudere.
La F1 non è un inno alla variabilità e all’imprevedibilità. E non da oggi, ma storicamente. Le annate di dominio, che sovente si sono trasformate in cicli, caratterizzano l’ultrasettantennale storia di questo sport. Liberty Media sta provando a spezzare questa dinamica, ma finora senza successo. Il budget cap e il contingentamento delle ore di lavoro in base ai risultati conseguiti in pista, uniti alla delibera delle monoposto a effetto suolo, non hanno generato equilibrio, ma hanno semplicemente consentito a Red Bull di soverchiare un regno, quello Mercedes, per imporre il proprio.
E forse sono proprio queste tre colonne portanti a far in modo che gli avversari non possano recuperare terreno. Un bell’autogol quello dei vertici americani corroborati dall’azione della FIA che le regole le ha scritte di proprio pugno.
F1: le critiche che arrivano dagli States
Viene da sé che questo contesto poco aperto al turnover sul podio, almeno per quanto concerne il gradino più alto dello stesso, venga visto in maniera estremamente critica da chi opera in una serie che è il manifesto dell’incertezza. “La IndyCar è molto dura, è la categoria più dura del mondo, soprattutto rispetto alla F1. La gente deve saperlo”. Così ha letteralmente tuonato Will Power, campione IndyCar 2014 e 2022 come se qualcuno gli avesse rinfacciato la superiorità della serie europea su quella americana.
“La Formula 1 è una barzelletta per quanto riguarda la competizione, ma non per quanto riguarda i piloti, perché questi sono straordinari. Mi dispiace per loro che non possano provare la soddisfazione che proviamo noi con le nostre gare, perché questo è il livello più alto del motorsport a ruote scoperte”. Questo l’acido commento di un pilota che, evidentemente, non riesce a cogliere appieno le differenze storiche e tecniche tra le due serie.
Power è stato anche prodigo di suggerimenti e, in una sorta di delirio messianico, ha dato la ricetta della salvezza senza però fornire i dettagli e, peggio ancora, gli ingredienti per il magico e salvifico mix: “Penso che la Formula 1 sarebbe migliore se fosse una categoria come la IndyCar. Mi piace la tecnologia, la ritengo fantastica, ma da spettatore quanto sarebbe bello se tutti avessero una Red Bull? Sai semplicemente che Verstappen vincerà ogni gara, a meno che qualcosa va storto. Immaginate di essere un ragazzo che arriva da esordiente e che probabilmente potrebbe vincere una gara. Sarebbe davvero bello ma sai che non succederà mai con la politica che c’è”.
Questo modo di ragionare è molto americano e Liberty Media ne incarna perfettamente lo spirito visto che, non di rado, si è avuta la sensazione che si preferisca anteporre lo spettacolo allo sport. Condizione in cui si è arrivati stravolgendo il quadro regolamentare così come fatto negli ultimi anni con i tre pilastri summenzionati.
F1: la mutuazione passiva di altri modelli non funziona
Ma è possibile maturare un modello ed impiantarlo in un’altra realtà senza tener conto della storia e del contesto? L’imprevedibilità che caratterizza serie come la IndyCar, da cui Liberty Media, per estrazione storico-culturale, prende spunto non è replicabile in F1. Una categoria che, nonostante tutte le gabbie regolamentari, riesce a mantenere delle specificità tecniche che avrebbero bisogno di regole ancora più standardizzanti per essere abbattute.
Nessuno, ma proprio nessuno, vorrebbe lo snaturamento di queste caratteristiche che hanno reso il Circus la massima espressione dell’automobilismo sportivo. Ecco perché la rivoluzione americana rischia di non compiersi mai del tutto. Servirebbe un più elevato grado di conformazione che non può verificarsi specie se all’orizzonte si affacciano ben sei motoristi per dodici team che potrebbero animare la serie dal 2025-2026. In questo contesto è pressoché impossibile che i valori convergeranno al centesimo di secondo. Lo abbiamo compreso noi europei. Lo capiranno dall’altro lato dell’oceano?
F1 e IndyCar sono due modelli differenti e non sovrapponibili. Ognuno è famoso ed entusiasmante per le proprie peculiarità. Perché la classe regina dell’automobilismo dovrebbe diventare una replica della categoria transoceanica? Ve le immaginate le vetture di Formula 1 tracimanti di carico aerodinamico a girare in un ovale? Sarebbe una cosa quasi imbarazzante. Ad ognuno il suo, ad ognuno la sua storia tecnico-sportiva.
La F1 è assolutamente perfettibile, ma deve continuare ad insistere sui suoi punti di forza e non seguire passivamente suggerimenti sbilenchi come quelli di Power o di chiunque altro personaggio che ha la ricetta magica senza conoscere la parabola storica dell’oggetto che intende sbeffeggiare e, eventualmente, salvare. Anche se non si sa da cosa.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing, IndyCar