F1: nella giornata di ieri abbiamo redatto uno scritto relativo al moto strisciante all’interno del Circus. Quest’oggi continuiamo il discorso. Dando per scontato che i lettori abbiano seguito le vicende che hanno portato la FIA e la F1 ai ferri corti, tanto da vivere ora in un rapporto da “guerra fredda” con la sudditanza della prima sulla seconda, resta una domanda fondamentale. Cosa è accaduto?
I fatti sono in parte chiari, in parte legati a congetture che possiamo ragionevolmente trarre ma che ovviamente hanno un valore relativo. Tra la fine dello scorso anno e l’inizio del 2023 il PIF (Fondo di investimento pubblico) dell’Arabia Saudita che ha preso il controllo del Newcastle in Premier League, si è preso gli incontri di boxe più importanti, ha messo le mani sul Golf professionista, per poi puntare fortemente sull’acquisto della F1.
Non è questo il momento per parlare del cosiddetto “Sportwashing” (lo faremo prima o poi) ma ci interessa che dall’Arabia Saudita sarebbe arrivata un’offerta mostruosa di 20 miliardi di dollari in direzione Liberty Media. In pratica la proprietà a stelle e strisce si sarebbe trovata a comprare a 4, qualche anno prima, per poi vendere a 20. Sarebbe stata follia non accettare.
E’ plausibile che si fosse giunti ad un punto ben distante dal semplice abboccamento, quando il presidente FIA Bin Sulayem è intervenuto a gamba tesa (sui social) parlando sostanzialmente di cifre gonfiate e ricordando, mettiamola così, che prima del denaro vengono i valori dello sport.
Questa presa di posizione (legata anche ad uno scontro geopolitico tutto interno al mondo arabo) scatenò un putiferio, tanto che a stretto giro di posta arrivò dalla F1 alla FIA una missiva incendiaria firmata dal capo legale dello sport Sacha Woodward Hill e dal capo legale e amministrativo di Liberty Media Reneé Wilm, suggerendo che Ben Sulayem aveva interferito in modo “inaccettabile”.
F1, FIA vs Liberty Media: i rapporti di forza basati sul potere
A quel punto, in Federazione si arrivò a “limitare” fortemente il presidente (che da allora in pratica non si occupa più di F1), con l’inversione dei rapporti di forza che ormai si è mostrata in modo plastico. Ora, se è vero che Liberty Media non vuole vendere la F1, è anche vero che determinate mosse sembrano smentire tale dichiarazione di principi.
Intendo che se tu fai di tutto per ampliare la platea dei potenziali spettatori, per aumentare il guadagno dal singolo fine settimana di gara (e gli esempi sono chiari), va da sé che aumenta anche il valore globale di quel determinato sport (cosa che infatti è avvenuta).
La mia impressione è che se il valore percepito della massima categoria del motorsport arrivasse ad un valore uguale o superiore ai 20 miliardi di dollari, e se qualcuno si presentasse “cash” (immaginiamo sempre realtà legate al Medio Oriente per ovvi motivi) a quel punto Liberty Media farebbe bingo e credo non ci penserebbe due volte a dire “si fa”. Come d’altronde stava per fare.
Il problema, se tale scenario diventasse da mera ipotesi a realtà, è capire se potremmo gioire per il nuovo proprietario o se, invece, alla fine non saremmo costretti a rimpiangere Liberty Media. Spero di no, perché le ombre sulla gestione della proprietà americana (con Domenicali) sono davvero tante. Troppe per non pensare che non si potrebbe fare molto meglio da parte di un altro proprietario. Ma queste consideratele semplici illazioni.
Certo, fa pensare ed è curioso riflettere su come stanno le cose oggi e come erano un tempo. Quando Bernie Ecclestone cominciò, da proprietario di un team e manager di piloti, a creare una struttura parallela che avrebbe poi gestito i diritti televisivi (il paese della cuccagna), per poi arrivare a mettere uomini di fiducia o comunque non avversari (Mosley ad esempio) in seno alla FIA. Che prima era un potere inscalfibile. Verrebbe da dire che il contrappasso dantesco ora è totalmente compiuto.
Autore: Silvia Napoletano – @silvianap13
Immagini: FIA – F1