In principio – un nuovo inizio – vi era il buio. E poi luce fu: nel cielo dipinto di rosso, una nuova stella. L’appellativo riecheggia per la prima volta nelle telecronache Italiane nell’ormai lontano 2019, sul finale – apoteosi – delle Qualifiche del Bahrain; un’impresa insperata, un’esagerazione voluta, la predestinazione di un talento di cui il fu Marchionne si era fatto orgoglioso portavoce.
Il giovane Leclerc, fiore all’occhiello dell’Accademia Ferrari, rappresentava per l’ex-Presidente la primavera di cui Maranello aveva terribilmente bisogno. E così, dopo un solo anno di gavetta in Sauber (39-9 contro il “padrone di casa” Ericsson) il ragazzino cresciuto nel serraglio dei talenti della Scuderia divenne il primo – e ancora ad oggi l’unico – junior ad essere promosso all’ambito sedile rosso.
[Sedile che – poesia o pura coincidenza – era stato precedentemente collegato al sempre caro Jules Bianchi, che Charles se l’era cresciuto, e senza il quale forse il monegasco non avrebbe avuto una carriera di cui (far) parlare.]
Vestito di tutto punto in rosso, cappellino saldo in testa come al primo giorno di scuola, il giovane “cavallino” prende posto al tavolo dei grandi accanto al Maestro Vettel. La faccia pulita, sorriso timido, ma sincero, Charles ha solo vent’anni – non conosce frasi che iniziano per “se”, risponde a tutto con un “ma” – e già al suo secondo weekend in Ferrari costruisce un’impresa eroica sul circuito di Sakhir, prima in Qualifica e poi in gara, dove a dieci giri dalla fine la sua condotta prepotente viene arrestata da un corto circuito (il primo di tanti curiosi déjà vu) che consegna un doppio podio alla stravincente Mercedes.
L’aria a Maranello in quei giorni avrà detto anche primavera, ma le ripercussioni del lungo inverno rimbalzano rumorosamente tra le mura della Gestione Sportiva dopo il deludente debutto stagionale; le avverte Mattia Binotto, che è nuovo nel ruolo ma di certo non al mondo, e sa di esser stato chiamato ad esorcizzare i fantasmi del passato senza garanzie sul suo futuro.
Lo fa Sebastian Vettel, che più che “bollito” parrebbe “avvelenato” dall’esposizione prolungata ai malumori delle campagne modenesi. E poi c’è Charles, che con l’egoismo tipico del novellino che ha ancora tutto da dimostrare sembra interamente impermeabile all’ambiente. La favola dell’apprendista che da subito dà filo da torcere al maestro viene omaggiata in quel momento – una delicata ripartenza – con un nomignolo che pesa troppo e vale troppo poco, anche ad anni di distanza.
Il “Predestinato” diventa una boccata di ossigeno per i tifosi, per altri un nuovo giocattolo con cui distrarsi per un po’; infine, per i malpensanti, la lapide sulla carriera (in rosso, in verde, blu) di Sebastian Vettel. C’è chi parla di gelosie, e chi esagera nei meriti, ma alla fine è il bilancio a parlare chiaro: due vittorie consecutive (con Monza che da sola ne vale tre), sette Pole Position (record stagionale), Leclerc si libera presto del ruolo di seconda guida, batte Vettel in classifica al primo anno di convivenza – e nell’inverno successivo firma il contratto più lungo che sia mai stato offerto a qualsiasi pilota della Scuderia: cinque anni.
Ferrari 2020: l’allontanamento di Vettel e la conferma di Leclerc
Da lì, una strada che questo giovane pieno di speranze forse si aspettava sarebbe stata in discesa, o quanto meno in parziale pendenza, prende una piega inaspettata. Dopo la misera campagna del 2019 – che almeno aveva consegnato al team il secondo posto in Classifica Costruttori – Ferrari firma un accordo segreto con la FIA e si presenta ai Test Invernali con un deficit di potenza di circa 40CV.
Due mesi dopo, nel bel mezzo di una pandemia, Sebastian Vettel viene accompagnato ai cancelli della Gestione Sportiva con una valigia piena di rimpianti e tanti auguri per il futuro. Al suo posto, a partire dal 2021, ci sarà invece Carlos Sainz, scelto da Mattia Binotto come secondo alfiere per il suo progetto a lungo termine – sempre che gli venga garantita la continuità per cui combatte dietro le quinte, con il sostegno della sua squadra, a discapito delle impressioni tutt’altro che positive del neo-presidente Elkann, che non fanno che peggiorare quando la SF1000 finalmente scende in pista.
La situazione, per farla breve, è tragicomica – e pericolosamente in bilico per i responsabili. Per Leclerc, si tratta di un’altra montagna da scalare. Questa volta le aspettative dei tifosi si uniscono a quelle del pilota, che dopo l’esordio con il botto si ritrova a combattere nella metà sbagliata della griglia. Ma quando c’è una lotta, non importa il dove e il come, il “Predestinato” risponde alla chiamata e mantiene alta la sua reputazione mentre quelle della Scuderia e – ahimé – il divorziato in casa Vettel sprofondano in un baratro da cui si fa a fatica ad intravedere uno spiraglio di luce.
Charles fa il Leclerc – è un diavolo con la faccia da angelo, vuole tutto e lo vuole subito. Non si accontenta, mai. La favola del Predestinato continua, sospinta dalla necessità di trovare un appiglio nel buio pesto. Presto la telecronaca urla, quasi sbeffeggiando la Scuderia, “date una macchina a questo ragazzo”. Date una macchina a questo ragazzo che in Qualifica continua a spingere contro e oltre ogni limite, che conquista due podi con cui la fortuna ha poco o forse nulla a che fare, che migliora nella gestione gara, nella gestione gomme, che danza su ciò che rimane del sogno in rosso di Vettel.
Commette errori, tanti e anche gravi: ma gli si fa uno sconto, perché i suoi picchi volano così alti (le due Silverstone semplicemente magistrali) che non si può fare a meno di pensare che un pilota di quel calibro non dovrebbe ritrovarsi in certe situazioni, che non dovrebbe esser costretto a combattere con la sua vettura prima che contro le altre.
L’unico vincitore – purtroppo solo morale – della campagna del 2020 in Ferrari è proprio lui: Charles Leclerc. La sua presenza nella Scuderia è vista ormai dal pubblico e dalla stessa dirigenza come una necessità. Eppure Charles non si sente un vincitore, non esulta per un risultato mediocre, l’unico gradino su cui gli interessa salire è quello più alto del podio. Sa che il suo ruolo nel team non è quello del moralizzatore, sa che si vince e che si perde insieme.
Nonostante la giovane età, il ragazzino di Monte Carlo continua a stupire – forse addirittura confondere – per il suo atteggiamento maturo. Altri si sarebbero montati la testa, lui no. Altri avrebbero creduto ai complimenti, ceduto alle pressioni, si sarebbero tuffati come Paperon de’ Paperoni in quella piscina d’oro dopo essersi sfregati soddisfatti le mani – lui no.
E ci mancherebbe altro, perché nonostante i risultati stupefacenti, Leclerc è ancora un pilota in fase di crescita, e lo sa bene così come lo sa chi lo guida, chi lo affianca, chi con lui fa la squadra. In F1 non esistono campioni senza un team vincente – pertanto l’unico focus di Leclerc per il futuro è migliorare insieme alla squadra. Non le chiacchiere, non i confronti scomodi con il coetaneo Verstappen (che gareggia contro Charles da una vita, e ha avuto un percorso assai diverso dal suo, con un debuto anticipato, forse prematuro) e nemmeno quelli con il compagno di squadra.
Ferrari 2021: Leclerc e la lotta immaginaria con Sainz
Se definiamo il 2020 una commedia tragica per Ferrari, l’anno successivo diventa una pantomima. La vettura migliora, ma i margini nei confronti della concorrenza sono ancora troppo ampi per esser colmati dal solo talento. La lotta diretta è con McLaren – ma l’entusiasmo per questo duello storico si spegne davanti alla prospettiva di un misero terzo posto in Classifica Costruttori.
Davanti, Mercedes e Red Bull si contendono la prima vera lotta al titolo in quasi dieci anni, Lewis contro Max, Max contro Lewis. Dobbiamo pensare, senza neanche troppo speculare, che Leclerc abbia osservato i due battagliare con l’avidità di chi vorrebbe unirsi ad una festa a cui non è stato invitato.
Dobbiamo pensare che quello sia stato il suo unico pensiero per tutta la stagione, ciò che lo ha spinto a sfiorare i muri per una Pole Position, anzi due, un podio che poteva essere una vittoria a Silverstone, un’impresa eroica ma fallimentare in Turchia, a Sochi. Gare intere trascorse in un limbo a gareggiare tra i primi tre ed il resto della griglia, solo, indisturbato, e perciò dimenticato.
E invece, complici le tattiche propagandistiche della stampa iberica, l’attenzione è stata interamente rivolta al confronto con Sainz, nuovo in squadra, intento a chiarire con tutti che non è lì “per fare il Barrichello”. Un’inversione di tendenza curiosa, visti i risultati in pista, il gap tra i due che è sempre stato più ravvicinato in Qualifica che in gara, i risultati del confronto diretto – tutti a (schiacciante) favore di Leclerc. Eppure si è celebrato un sorpasso di 5,5 punti in classifica (che al netto dei podi conquistati in occasione di DNF dello sfortunato compagno di squadra doveva essere di almeno 49 punti) come la fine anticipata dell’era Leclerc in Ferrari.
Ferrari 2022: il talento sprecato di Leclerc
Ah, come spesso cambia il vento – e così le cronache del “Predestinato” parlano di difficoltà, capricci e malumori. Ma non Leclerc – a lui di questa storia “frega proprio niente, ma zero” (parole sue). Lui mette le carte in chiaro in pista, dominando il compagno e non solo l’anno successivo – l’anno del ritorno alla vittoria, delle illusioni, una lotta al titolo sfiorata, evaporata in un istante.
Leclerc conferma di essere inarrestabile – inarrivabile – in una vettura che gli consente di esprimere appieno il suo potenziale. Vince in Bahrain, per poco non vince a Jeddah, fa un Grand Slam in Australia (l’ultimo a conquistarne uno per Ferrari era stato Fernando Alonso, nel lontano 2010, a Singapore). Poi l’errore ad Imola, in un weekend dalle prestazioni difficili – e guai a dimenticarsene.
Ferrari, al contrario, crolla come un castello di carte. Errore dopo errore, tra un muretto che reagisce ad ogni minaccia con il pilota davanti (“per mettersi al sicuro” – parliamo di reazioni esagerate, come quella di Monaco, in cui Leclerc leader della gara con un comodo distacco, venne messo a coprire la strategia su doppia sosta di Pérez, terzo, e terminò la gara quarto dopo un ulteriore, tremendo errore di distrazione ai box, quando non si accorsero di non avere margine per fermare entrambi i piloti, su strategie opposte, nello stesso giro) e l’affidabilità di un motore che è costato un altro Grand Slam in Spagna e forse una vittoria, o almeno il secondo gradino del podio, a Baku.
La leadership di Leclerc nel campionato svanisce nel giro di cinque gare – cinque weekend da dimenticare: Spagna (DNF, motore), Monaco (errore di strategia), Baku (DNF, motore), Canada (partenza dal fondo della griglia, motore), Silverstone… di questa gara magari parleremo un’altra volta. Ciò che conta è che il weekend successivo, in Austria, Leclerc mette insieme una gara fatta di talento e tanta, tanta determinazione: una strategia improbabile, ma che lui studia a tavolino con il suo ingegnere di pista Marcos utilizzando la Sprint del sabato come banco di prova.
Tre sorpassi in pista contro un Verstappen che lottava contro l’alto degrado, un problema all’acceleratore negli ultimi dieci giri che lo ha costretto a prendere curve lente a gas aperto. Leclerc vince contro le aspettative di tutti, ma non le sue – perché quando glielo chiedono, lui risponde che sapeva esattamente cosa fare. “Domani andiamo a prenderli,” aveva detto dopo la Sprint. Un uomo di parola.
Lo stesso non si può dire dell’ingegnere a capo della Scuderia. Se il supporto per il “Predestinato” tornava a crescere prepotente in questi frangenti, quello per Mattia Binotto – che la settimana prima lo aveva fatto “arrabbiare” additandolo in pubblico – era ai minimi storici. Molti, rivali inclusi, tra cui il sibillino Christian Horner che non perde mai occasione di gettar carne al fuoco, si interrogavano sul mancato appoggio alla campagna al titolo di Leclerc, che vantava un decoroso distacco in pista ed in classifica sul compagno di squadra più in difficoltà con le vetture di nuova generazione.
L’ingegnere di Losanna deve forse ringraziare – o anche no – l’errore (grave, tutto di ansia di prestazione) che Leclerc commette il weekend del Gran Premio di Francia, in cui sbatte contro le barriere dopo aver perso il posteriore appena prima di rientrare ai box. Tuttavia, sarebbe disonesto dire che gli errori di Imola e Francia siano costati il mondiale a Leclerc quando Ferrari è venuta meno come squadra nella prima metà, ed è poi sparita nella seconda – dopo un aggiornamento regolamentare che ha completamente invalidato il progetto F1-75, complici anche forse un’ultima serie di aggiornamenti apportati proprio in Francia che avevano alterato il bilanciamento di una vettura, fino al weekend precedente, molto puntata sull’anteriore.
Se Leclerc ha stretto i pugni, impotente, mentre il sogno svaniva davanti ai suoi occhi increduli, Binotto ha iniziato a contare i giorni alla fine del suo mandato in Ferrari nello stesso periodo. La fiducia di Elkann, mai salda nei suoi confronti, era ormai crollata di fronte all’ennesima catastrofica disfatta. Frustrato, adirato per gli errori fino al Brasile, Leclerc diviene l’uomo-squadra che era stato chiamato ad essere dopo il 2020. Non si lamenta dei fantomatici “altri”, non reagisce alla stampa reazionaria, non punta il dito se non contro se stesso, ma è sempre pronto a motivare la squadra, a spronarla a fare di meglio, a lavorare, e lavorare sodo, per colmare le lacune “che sappiamo già quali sono, ma preferisco parlarne con il mio team in privato”.
I panni sporchi, del resto, si lavano in famiglia – non davanti alle telecamere. E perciò una volta augurato il suo educato addio a Mattia Binotto, Leclerc va a Parigi e ritira il trofeo del vice-campione con un sorriso amaro, ma la determinazione di un soldato per cui la guerra è appena cominciata. Più che il cuore in gola, un buco nello stomaco – un vuoto da colmare, pezzo dopo pezzo, spalla contro spalla di persone fidate ed amici.
Ferrari 2023: l’addio di Leclerc paventato dai più
Erede dell’Impero – in vorticoso declino – di Binotto, il generale Vasseur è una vecchia conoscenza di Leclerc, ma da buon francese (qualcuno direbbe “tirchio”) non fa sconti a nessuno. Si piacciono proprio per questo. “Charles è uno che non ha paura di esprimere la propria opinione, e sa scegliere il momento opportuno per farlo,” dichiarava Vasseur a L’Équipe qualche tempo fa. “Ed io non ho problemi a dirgli esattamente ciò che penso, anche quando si tratta di critiche, perché so che apprezza l’onestà più dei complimenti.”
Quella del 2023 è una Ferrari compromessa dall’inizio – o, per meglio dire, dall’anno prima. Una crisalide che ha bisogno di acquisire una nuova visione prima di poter spiegare le ali, e poi dare spiegazioni agli altri. Un progetto da riscrivere, ma che prima era da capire fino in fondo, da rigirare tra le mani come un cubo di Rubik alla ricerca di una soluzione che potesse mitigare quanto meno i problemi di bilanciamento.
Poi, il capitolo successivo – la rivoluzione. Per farlo c’è bisogno di tempo, ma soprattutto dell’onestà di cui parla Vasseur, di una mano sulla coscienza collettiva di chi ha in mano Maranello, e ora anche il dovere di risollevare la squadra. Non un solo uomo – non un solo Binotto, non un solo Frederic, e certamente non un solo Leclerc. Anche Schumacher ebbe bisogno del supporto dell’intera squadra, e su tutti un duo formidabile in Todt e Brawn, per iniziare a vincere in rosso.
Non è facile ammettere i propri errori – una disciplina in cui Leclerc eccelle campione, talvolta sforando nell’eccessiva autocritica (rimproveratagli dallo stesso Vasseur, per quanto apprezzi l’onestà) che diventa un’esca golosa per i giornali, per chi non ha voglia di fermarsi a pensare, a ricordare, che guarda il dito invece della luna a cui sta puntando. Si legge in giro che sia demoralizzato, che la sua stella non brilli più, che pensa di andarsene – che non ne veda l’ora. In Spagna – lasciamo perdere. Al solito sono concentrati altrove, come il loro pilota.
Eppure confrontato direttamente con questa attitudine leopardiana, Leclerc si accende di un’ironia che non sempre viene apprezzata (“Sono proprio contento di questa domanda – perché non sono affatto demoralizzato. Per niente, zero!”). Ricorda al pubblico – lo ricorda a chi lo chiama “Predestinato” un giorno, e quello dopo si dimentica perché – che in una situazione di stallo come quella in cui il team si ritrova adesso, è fondamentale tenere giù la testa ed avere pazienza.
Non esistono soluzioni “magiche” ai problemi che Ferrari sta affrontando: Leclerc non è Mazinga, non può trasformarsi in una vettura più competitiva – può solo fare il meglio che può con quella che ha a disposizione, incluso limitare i rischi (quei lampi di genio, come a Baku!) quando non valgono la candela.
Ferrari: Leclerc non può vincere da solo
Piuttosto che cedere ad isterismi di (volta) bandiera, che sia il passato a cui lui non vuole guardare – troppo concentrato sul presente, sul futuro – a guidare la penna di chi scrive. Che siano le sue parole, sempre sagge, misurate, anche quando cede all’adrenalina e rimprovera il team di non essere ascoltato – che lo si ascolti, che il suo feedback ispiri chi guarda la Ferrari oggi e cerca risposte nella Classifica Piloti.
Charles Leclerc, il “Predestinato”, è stato dal principio, per la stampa e per i tifosi, una solitaria figura di riferimento, la rappresentazione olio su motore della “Primavera di Ferrari”, lo “spirto guerrier” che avrebbe risolto ogni problema. Insomma, un tappabuchi per le aspettative di milioni di persone dopo dodici anni di capitomboli e delusioni. Roba da poco. Ad oggi soffre non solo di quel primo e drammatico errore di valutazione nei suoi confronti, ma anche e forse soprattutto della poca stima per il ruolo effettivo che ricopre nella Scuderia, per la Scuderia.
Leclerc ha venticinque anni ora – ma ha ancora un rifiuto categorico per i “se”, e i suoi “ma” nel frattempo si sono triplicati. Ha il Cavallino Rampante cucito sul petto e la passione di un vero tifoso nell’espressione – al polso un braccialetto di perline, regalo di un fan, senza valore: “F-O-R-Z-A-F-E-R-R-A-R-I”. Ecco allora il Destino – il filo Rosso conduttore; una promessa, una croce sul cuore.
Autore: Sara Esposito – @_allthatglitz
Immagini: Scuderia Ferrari