Si è sempre molto discusso del grado di indipendenza della AlphaTauri dalla Red Bull, sia in termini tecnici che amministrativi. Sul primo fronte, Jody Egginton, direttore tecnico della scuderia faentina, ha sempre rivendicato la possibilità di potersi muovere con discreti margini di libertà nonostante alcune parti meccaniche, oltre naturalmente alla power unit, siano mutuate dal veicolo prodotto a Milton Keynes. Volendo essere taglienti, ci viene da sottolineare che risultati di questa politica si vedono. E non sono proprio lusinghieri.
Sul versante della gestione del team, pur avendo l’ex Minardi i suoi quadri dirigenziali definiti, i margini di manovra di questi sono relativamente limitati. Lo narra ad esempio l’ingaggio di Laurent Mekies che è stato gestito direttamente dalla casa madre. Ma lo dicono anche i continui avvicendamenti nella line-up piloti. Quando Red Bull acquisì il team italiano lo fece con un preciso scopo: trasformarlo nella palestra dei futuri campioni che poi avrebbero guidato le vetture della sorella maggiore.
L’attualità conferma ulteriormente questo modo d’operare: Nyck de Vries non è stato silurato da Franz Tost, bensì da Helmut Marko e Chris Horner, soggetti che, tecnicamente, non dovrebbero apporre il loro controllo totale sulla scuderia cisalpina ma che, nei fatti, lo fanno. Da sempre.
AlphaTauri: un giocattolo in mano a Red Bull
Che a Faenza l’ingerenza inglese sia una norma è confermato dalle parole che Horner ha speso sul caso de Vries: “Nyck è un pilota molto capace, campione di Formula E e di Formula 2 che ha ovviamente molta esperienza. Non è un pilota giovane in quanto tale e, dal punto di vista dell’età, non vedevo come si potesse inserire nel programma junior. È sempre stato un ripiego“.
“Stava diventando ovviamente una situazione difficile per lui, ma c’erano grandi aspettative perché. Credo che ci fosse la sensazione generale che non riuscisse a centrare il bersaglio, e quindi ci si è chiesti quali fossero le possibilità di cambiare le cose”, ha spiegato Horner.
E poi il ragionamento che conferma una volta di più come AlphaTauri sia uno strumento al servizio della controllante austriaca: “Dal punto di vista della Red Bull, l’opzione più interessante per me era vedere come si comportava Ricciardo. Quindi la decisione è stata presa. È successo tutto abbastanza in fretta, ed eccolo qui per il Gran Premio d’Ungheria”.
Ricciardo ha ricevuto la chiamata decisiva dall’Inghilterra prima dei test Pirelli che si sono svolti all’inizio della scorsa settimana. Quella due giorni è servita per sgrossare e rimuovere la ruggine. Cosa che, pare, sia avvenuta abbastanza agevolmente visto che i riscontri ottenuti, nelle parole del team principal britannico, sono stati “da prima fila”.
Daniel si è subito calato nella nuova realtà sfruttando il test con la RB19 per dimostrare ai tecnici e ai dirigenti che il manico non è stato smarrito e che egli stesso è un’opzione credibile per il futuro. Ma per far avverare ciò serve convincere anche in queste dodici gare che restano da qui alla fine dell’annata.
Daniel Ricciardo: AlphaTauri come trampolino di lancio verso la Red Bull?
Meno di cinque mesi. In questo arco di tempo si deciderà il futuro dell’australiano che pare non voglia accontentarsi di guidare per un team di rincalzo. “Al momento c’è solo qualcosa in ballo fino alla fine della stagione, non ci sono pensieri o aspettative al di là di questo. Lo abbiamo prestato all’AlphaTauri fino al termine della stagione e, ovviamente, l’anno prossimo i nostri piloti saranno ancora Verstappen e Perez, ma è sempre bene avere dei talenti di riserva. Credo che Daniel stia guardando all’AlphaTauri, ma vuole assolutamente candidarsi per il sedile della Red Bull del 2025”, ha argomentato il dirigente inglese.
Queste parole rendono manifesto il concetto immateriale d’invadenza. Si percepisce come AlphaTauri sia una zona sotto il controllo esterno. Ricorda un po’ un territorio annesso in cui i vertici politici sono reggenti con potere limitato: Horner e Marko che muovono a proprio piacimento piloti, Ricciardo che non fa mistero di considerare la scuderia che lo ha lanciato come un momento di passaggio rigenerante per puntare a qualcosa di più concreto.
L’idea recentemente paventata da Marko di portare uffici e maestranze a Milton Keynes abbandonando la sede faentina accorcerebbe ancora di più delle briglie già molto corte. Ecco perché, con un margine operativo così risicato, risultano fuori luogo quelle filippiche spesso prodotte dal superconsulente di Graz che pretenderebbe altri risultati dalla piccola realtà italiana. Se la fantasia dei progettasti non può essere liberata, così come non può essere applicato il proprio modello gestionale, è difficile arrivare a traguardi più ambiziosi.
D’altro canto che la Toro Rosso poi ribattezzata AlphaTauri non sia poi così al centro dei pensieri della Red Bull lo ha confermato Jaime Alguersuari ai microfoni di AS quando ha descritto un paio di passaggi eloquenti: “La Toro Rosso non era un’auto competitiva, ma nessuno nella squadra dava importanza ai buoni risultati. È stato frustrante. Non credo sia un male essere spinti al limite da uno Junior Team, perché fa parte del processo di selezione. Il problema è che vieni allontanato per una decisione commerciale e politica, e chi ti sostituisce fa peggio. Sto parlando di fatti”.
E poi un episodio che deve far riflettere: “Eravamo in Corea. Erano le terze libere e partivo davanti a Vettel. L’ordine rigoroso del team era di lasciare sempre sorpassare le Red Bull. L’ho fatto due volte con Sebastian, ma lui ha frenato troppo alla prima curva e ho pensato che fosse sufficiente, volevo fare un giro pulito perché mancava un minuto alla fine. Erano solo prove libere. Marko è venuto ai box per rimproverarmi, davanti a tutti, con un atteggiamento infantile, come a dire: <<Voglio far capire a tutti chi comanda qui>>”.
In questo regime non è facile emergere e soprattutto che il team possa operare con la necessaria serenità per portare risultati di spessore. Chissà se Laurent Mekies e Peter Bayer, chiamati a rilanciare la squadra, saranno in grado di renderla più indipendente e, di conseguenza, più forte. A meno che non siano uomini messi là dalla Red Bull per stringere ancora di più le maglie del controllo utilizzando, come accadde col passaggio da Renault a Honda, la vettura italiana come cavia da laboratorio…
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing, Scuderia AlphaTauri