I campionati del mondo di F1 2023 sono una pratica in via di archiviazione. Il conto alla rovescia è partito: non è lontano il tempo in cui Max Verstappen e la Red Bull saranno matematicamente titolati. In queste condizioni il mondiale si avvia stancamente verso l’epilogo con pochi sussulti e gare che si animano solo per le posizioni di rincalzo perché il gradino più alto del podio ha un solo, riconoscibile, padrone.
Una noia mortale ratificata, almeno in Italia, dai dati auditel che raccontano di una disaffezione inarginabile che non è solo frutto dei problemi della Ferrari. E non si tenga conto dell’impennata di ascolti monzese, una mosca bianca in un trend in netto calo. La F1 è un inno all’invariabilità e la cosa si realizza in un calo di interessi ormai acclarato. Forse, lo si afferma in maniera provocatoria, FIA e Liberty Media vogliono mettere un po’ di pepe nel finale di stagione proseguendo su un cammino di tensioni che sta caratterizzando gli ultimi mesi. Andiamo a ricapitolare i fatti.
F1. FIA/Liberty Media: quattro motivi di frizione
I punti dolenti del rapporto tra i padroni del Circus e l’ente che redige e mette in esecuzione le regole, fungendo poi anche da giudice, sono sostanzialmente quattro: allargamento ad altre scuderie in F1, limitazione alla libertà d’espressione dei piloti, Sprint Race e presunta vendita del pacchetto azionario in mano agli americani.
Sul primo punto Mohammed Ben Sulayem si è dichiaratamente schierato in favore dell’ingresso dell’apertura al gruppo Andretti che si accompagnerà con Cadillac, motorista che intende diventare protagonista con le nuove norme che debutteranno nel 2026. Da quel momento la FIA ha fatto valere i regolamenti aprendo un bando di concorso per l’ingresso di due nuovi team. Gli esiti dello stesso, in uno slittamento che dura da luglio, dovrebbero essere resi manifesti nei prossimi giorni.
Stefano Domenicali e il gruppo che rappresenta non si sono mai esposti chiaramente sulla vicenda, sposando, a quanto pare, la linea dei team che non sono troppo convinti a rivedere il Patto della Concordia. O, per meglio dire, sarebbero disposti a farlo se i privilegi economici acquisiti non svanissero con un undicesimo soggetto in lizza. La FIA, invece, è andata dritta come una nave rompighiaccio determinando una frattura. Un atto di forza non richiesto che giungeva dopo un altro momento carico di tensioni.
Per molto tempo le due entità che guidano la Formula Uno avevano discusso sull’opportunità di raddoppiare in numero le Sprint Race. Gli americani ne erano convinti araldi, la Federazione, nella F1 Commission, si era messa di traverso facendo mancare l’appoggio dei suoi dieci delegati. La colpa di Liberty Media, secondo Place de la Concorde, era aver soddisfatto le richieste economiche dei team e non quelle di chi gestisce la pista con le sue maestranze e i suoi mezzi. Lunghe interlocuzioni sono state necessarie per arrivare all’accordo basato, manco a dirlo, su una bella siringa di dollari fatta da John C. Malone e soci. Questo è il secondo punto di frizione che ha logorato il legame tra gli enti.
Dissidi superati? Sì, ma con un rapporto apparentemente compromesso considerando l’affaire Andretti e l’altro fronte che si è aperto durante la pausa invernale tra i campionati 2022 e 2023 quando la FIA, sposando il codice etico del comitato olimpico internazionale, ha di fatto apposto un filtro censorio ai piloti che non sono più liberi, se non concordandolo, di esprimere posizioni su questioni politiche e sociali.
Un provvedimento che ha spaccato letteralmente il Circus e che ha generato le irate reazioni di Liberty Media che ha letto l’azione di un sempre più intraprendete Ben Sulayem come un atto liberticida. Non a caso si sono mossi gli avvocati del gruppo americano.
A corredo di questo quadro burrascoso – e giungiamo al quarto punto dolente – si è messa anche la valutazione del dirigente emiratino su un’eventuale cordata che aveva manifestato interessa e ad acquisire, a suon di petrodollari, la F1. Con un comunicato piuttosto allusivo, Ben Sulayem aveva parlato di valori dello sport mortificati in nome della crescita economica e del fatturato.
Il presidente FIA aveva fatto riferimento ad un prezzo “gonfiato” e ciò non era piaciuto ai proprietari della Formula Uno che avevano ritenuto che l’ex rallista avesse superato i limiti del mandato federale. Un altro scambio di cannonate ad indebolire un muro già ampiamente bombardato da ambo i lati.
F1: la FIA non vuole essere subalterna a Liberty Media
Questo scenario ha determinato l’assenza per molti mesi di Mohammed Ben Sulayem il quale, da qualche GP, ha fatto ritorno in pianta stabile nei paddock con la sua chioma finemente pettinata in bella mostra. Molti hanno letto la rinnovata presenza come un segnale di distensione tra le parti che ci risulta effettivamente esserci stato. Ma l’indole del dirigente emiratino emerge sempre, tanto da aver aperto un nuovo fronte polemico nel quale Place de La Concorde rivendica il suo diritto a scrivere le regole del gioco. Prima la nota era arrivata sulle norme motoristiche, ora la precisazione giunge sul Patto della Concordia che scade a fine 2025.
La carta di riferimento della F1 che regola, tra le altre cose, le delicatissime e appetitive spartizioni finanziarie, è stata ratificata nell’estate del 2020 dopo un processo molto tortuoso che aveva messo i team gli uni contro gli altri. L’accordo compromissorio fu tutto sommato soddisfacente tra le parti, ma ora, con altre scuderie che pressano, è necessario rimodulare i termini dell’intesa introducendo anche una nuova tassa d’ingresso che potrebbe essere stabilita in 600 milioni di dollari, il triplo degli attuali 200.
Il Patto della Concordia è sostanzialmente un istituto che regola i rapporti tra i team e la proprietà visto che si stipula per questioni finanziarie. La FIA, tecnicamente, non è parte in causa perché non è direttamente coinvolta. Ma chiede trasparenza. Ben Sulayem non lo ha fatto direttamente ma con un “giro largo”:
“Abbiamo bisogno di rispetto, di riconoscimento per la FIA e di equità. Ho avuto buoni incontri con Stefano [Domenicali] a questo proposito e lui è allineato con le esigenze della FIA. Dobbiamo essere trasparenti. Se chiediamo accordi migliori per quanto riguarda i soldi, dobbiamo mostrare dove andranno a finire: un miglioramento degli steward, un miglioramento del programma di formazione dei direttori di gara, un miglioramento del ROC [Remote Operations Centre] e un miglioramento delle nostre attrezzature“, ha detto il dirigente al giornale Autocar.
Nella stessa intervista il presidente della Federazione Internazionale dell’Automobile, pur riconoscendo la facoltà di determinare di chi detiene il pacchetto azionario della F1, ha inteso sottolineare l’indipendenza del gruppo che guida e soprattutto l’agire in maniera chiara, quasi come a voler alludere velatamente a mosse poco adamantine.
Per ora, come accaduto in altre circostanze, da Liberty Media non giungono reazioni. Stefano Domenicali ha dimostrato di essere un tipo paziente prima che pragmatico. Doti necessarie quando si vuole davvero proteggere un business a molti zeri. Reagire d’impulso potrebbe riaccendere la fiamma dello scontro che, al di là delle parole apparentemente distensive di Ben Sulayem, ha continuato ad ardere sotto le ceneri. Di certo questo rimpallo tra FIA e proprietà non fa un granché bene alla F1 che avrebbe bisogno di una pacificazione ai vertici per preparare al meglio la nuova era che scatterà dal 2026.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, FIA, Liberty Media