Punti di riferimento. La Red Bull RB19 lo è nella F1 attuale. Una vettura perfetta, adatta ad ogni condizione, veloce su ogni tracciato. Aerodinamicamente efficiente, bilanciata in frenata, portentosa in percorrenza di curva, efficace in trazione e con un DRS che sembra uscito da un manuale alchemico medievale.
Una macchina, quella creata dal mago Adrian Newey, che gestisce meglio di ogni altra gli pneumatici facendoli entrare immediatamente nella corretta finestra d’utilizzo. E sappiamo quanto questa prerogativa risulti determinante in una categoria in cui la gestione del mezzo è l’elemento in grado di fare la differenza.
Il controllo del degrado delle gomme deriva dal fatto che nessuna delle altre nove monoposto in griglia scivola così poco nelle curve veloci come la RB19. Una macchina che non trasla lateralmente significa tenere sotto controllo la temperatura delle coperture. Cosa che aiuta ad allungarne la vita in maniera a volte sorprendente.
Da questa premessa, che non vuole servire come sostituzione di focus tecnici curati dai nostri redattori esperti della materia, si evince che il gioiello anglo-austriaco primeggia in una serie di elementi chiave che, sommati, hanno generato una delle monoposto più dominanti della storia e che potrebbe seriamente fregiarsi, a fine novembre, del blasone di auto-cannibale visto che può concretamente vincerle tutte (scongiuri autorizzati per chi di dovere).
Viene da sé che i competitor stiano lavorando per replicare questo comportamento virtuoso sublimato da un’altra tendenza vincente: l’auto si abbassa sui rettilinei sopra una certa velocità arrivando a produrre picchi velocistici invidiabili. Un po’ ciò che riusciva a fare la Mercedes W12 nella fase finale del campionato 2021 quando l’inerzia della stagione sembrava essersi nuovamente spostata verso Lewis Hamilton.
Ecco che i sidepod dall’andamento degradante stanno diventando il nuovo standard che punta a sublimare l’effetto downwash. Aston Martin, Alpine e Williams sono andate per prime in questa direzione che poi è stata seguita da Ferrari e Mercedes col pacchetto di upgrade introdotto a Montecarlo. L’unica scuderia che resiste, almeno per il momento, è la Haas che però ha annunciato un cambio di filosofia per il 2024. E la linea concettuale, con ogni probabilità, sarà quella adoperata da tutti gli altri.
L’essersi avvicinati esteticamente alla RB19 non ha ancora sortito effetti sensibili sui valori espressi in pista. Ad ogni gara osserviamo Verstappen – e in misura minore Perez – fare il bello e il cattivo tempo quando hanno necessità di recuperare o di aprire un margine di sicurezza sugli avversari. Tipico atteggiamento di quelle vetture che hanno nel taschino diversi decimi di secondo che qualcuno in griglia quantifica in sette – otto. Un abisso che potrebbe non essere colmato durante la pausa invernale.
Red Bull RB19: una vettura difficilmente imitabile
Se, dunque, non è la sola veste aerodinamica a fare la differenza, cosa consente alla RB19 (e prima alla progenitrice RB18) di avere un margine così ampio? Probabilmente i segreti risiedono nel telaio che, lo ricordiamo, sin dall’anno scorso è stato oggetto di una graduale e profonda dieta dimagrante che ha permesso di correggere quella tendenza al sottosterzo acuita dalle gomme Pirelli di vecchia generazione che portavano Verstappen lontano dalla sua comfort zone. Non è un caso, difatti, che la forbice su Perez si sia allargata via via che la vettura veniva aggiornata.
Le limitazioni determinate dall’Aerodynamic Test Regulation e aggravate dalla penalità comminata in seguito all’infrazione del budget cap hanno imposto agli ingegneri di concentrarsi su altre aree tra cui, appunto, il telaio e le sospensioni che sono un corollario ai tanti segreti di un progetto già entrato nella storia. La vettura, caratterizzata da un chassis lungo abbinato ad una trasmissione molto compatta, accresce la superficie libera del diffusore, con evidenti vantaggi aerodinamici.
E’ la perfetta integrazione della veste aero, del telaio, della trasmissione e degli organi sospensivi a generare un prodotto così efficace e che non è agevolmente replicabile. Ed è questa la ragione per la quale, in epoca di budget cap e di regolamenti tecnici incatenati su power unit e trasmissioni, nessuno, in due anni, è riuscito ad avvicinarsi alla vettura dei “tori caricanti”. Anzi, la forbice si è addirittura aperta.
Per chiuderla servono interventi molto massicci che potrebbero contemplare l’omologazione di un nuovo telaio con relativi test strutturali. Cosa che le scuderie non fanno abitudinariamente a campionato in corso. Proprio dalla difficoltà intrinseca nel replicare equilibri così sottili deriva il blocco più o meno diffuso allo sviluppo delle vetture concorrenti. Molte, tra cui Ferrari e Mercedes, hanno fermato il piano di upgrade a metà stagione proprio per lavorare in chiave 2024.
I rivali di Red Bull pensano ci siano margini di miglioramento ampi che, per forza di cose, a Milton Keynes sono più ristretti visto che hanno già aperto la strada da due stagioni. E’ questa la speranza a cui si appiglia la F1 per non osservare altri due anni di “monomarca blu”. Sempre che Newey e i suoi non abbiano in serbo altri “trucchetti” che possono continuare a fare la differenza.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing, Scuderia Ferrari