domenica, Dicembre 22, 2024

La F1 degli interessi particolaristici boccia le modifiche al cost cap

Nel 2021 la F1 ha subito uno dei cambi più radicali della sua storia. Non si tratta di questioni tecniche, bensì di cose finanziarie. L’introduzione del cost cap, a questo ci riferiamo, fu una mossa che si proponeva di riequilibrare la serie. A che punto siamo? Il tetto dei costi ha davvero penalizzato le scuderie con gli apparati più grandi favorendo il ritorno delle realtà più piccole? A dare un’occhiata ai mondiali 2021, 2022 e a questo 2023 che si avvia stancamente verso l’epilogo, la risposta è un secco no. 

Al di là del rimescolamento che ha visto Mercedes retrocedere dalla prima alla terza piazza nel Costruttori nel 2022, sono sempre le solite “tre sorelle” a guidare la Formula Uno, con l’aggiunta della outsider Aston Martin alla quale, dal GP d’Austria poi, si sta sensibilmente avvicinando la McLaren. I fatti dicono che l’apripista ha scavato un solco sulla concorrenza che dal secondo anno in cui l’istituto è stato applicato (il 2022, ndr) si è addirittura fatto più profondo.

Messa in questi termini sembrerebbe una bocciatura senza appello. Se sarà davvero così lo sapremo nei prossimi anni. La norma che ha introdotto il cost cap si era resa necessaria, nella testa di chi l’ha teorizzata negli uffici di Liberty Media Corporation, per compattare valori che in Formula Uno tendevano a stare troppo lontani tra essi. Si volevano evitare dei cicli dominati da un solo team o dei blocchi di potere di un paio di scuderie con altre otto a fare da spettatrici inerti in uno show più grande di loro.

Inutile girare intorno alla faccenda: se tra qualche anno assisteremo ancora all’imperio del singolo o di una ristretta élite allora potremmo affermare che l’impianto filosofico teorizzato dalla proprietà non ha centrato il bersaglio. In tal caso, allora, diremmo che i team, ancora una volta, sono stati in grado di trovare scappatoie organizzative per aggirare le limitazioni. 

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James Vowles, team principal della Williams Racing

F1, cost cap: un fallimento concettuale ormai certificato

Il budget cap, quindi, non ha assolto alla sua funzione primordiale. Anzi, ha contribuito ad ampliare il solco tra le realtà più potenti e quelle meno dotate di mezzi e strutture. La conferma l’aveva data James Vowles, ottimo team principal della Williams, che è passato dalla squadra probabilmente più strutturata a quella meno all’avanguardia. Una differenza enorme che difficilmente può essere erosa con vincoli di spesa così ottusamente anelastici

Alla Mercedes avevamo circa 300 milioni di dollari di attrezzature che la Williams non ha. E’ difficile costruire questi beni duraturi per i team minori. E anche se ci riuscissero – aveva spiegato l’ex capo delle strategie AMG Immaginate quanto tempo ci vuole per spendere 300 milioni di dollari, a trovare un budget simile e a pianificarne lo sfruttamento. Ecco perché le grandi squadre hanno aderito al cost cap molto rapidamente. Per le piccole, invece, si tratta di lottare con un braccio dietro la schiena”.

La fotografia è lucida e qualcuno, per provare a smuovere le acque, ha iniziato a far pressione affinché FIA e Liberty Media rivedessero le norme fiscali vigenti. Alcuni team, capitanati proprio da Vowles, avevano tenuto colloqui per consentire investimenti extra in nuove infrastrutture per permettere di colmare il ritardo delle realtà più piccole o tecnologicamente in ritardo.

Sul piatto c’era la proposta di garantire più fondi da iniettare nella creazione di simulatori ed altri sistemi di base per portare le squadre di fascia bassa, progressivamente, al livello delle scuderie più strutturate. “Se ritorno al 20 febbraio, pochi giorni dopo aver iniziato qui, ho capito che noi come Williams abbiamo bisogno di aiuto. Non possiamo competere per la vetta con le strutture che abbiamo in fabbrica”, aveva detto l’ingegnere inglese.

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Williams FW45

Da quel momento Vowles – insieme ad altri team principal di squadre di media fascia – ha preso a far pressione sugli organi di governo ricevendo anche delle aperture che lasciavano ben sperare. Ma i buoni auspici sono rimasti abbozzati visto che, ad ogni incontro, la questione non è stata concretamente presa di petto.

Alcuni dei presenti hanno cincischiato per assicurarsi di non perdere il vantaggio acquisito rispetto a tutti gli altri. Ad oggi non c’è possibilità che la Williams possa sforare i budget per creare nuove strutture. “Quando abbiamo parlato di chi ha bisogno di recuperare, da un lato del tavolo c’erano le squadre nella parte posteriore della griglia e dall’altro lato le squadre nella parte anteriore“, ha detto Vowles che ha così proseguito: “Non è una sorpresa che tutti  quelli in fondo alla griglia erano abbastanza vicini all’unanimità mentre quelli in testa si opponevano“.

La F1, quindi, non riesce a fare quadrato quando c’è da anteporre l’interesse generale a quelli particolari. I big si arroccano nelle loro roccaforti, i piccoli cercano di far pressione in maniera vana visto che le norme non li aiutano quando c’è da cambiare il quadro di riferimento che essi stessi hanno contribuito a rendere immobile pensando che il budget cap fosse la mossa che poteva tirarli fuori dalle sabbie mobili. E invece sta contribuendo a rendere ancora più profondo il solco.

Nonostante la Williams si sia mossa dall’ultima posizione in classifica resta la scuderia meno attrezzata del Circus. La valutazione non è nostra bensì di Vowles a cui non mancano franchezza e umiltà per ammettere che la situazione non è proprio rosea. Per questo motivo il team non vuole lasciare nulla al caso e lavora per  fare un altro tentativo per superare l’impasse e, come afferma il buon James, “per provare a modificare la mentalità di altre persone“. 

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Toto Wolff (Mercedes AMG F1) e Christian Horner (Oracle Red Bull Racing)

Tra le squadre più restie a modificare il corso delle cose pare esserci  proprio la Mercedes che non intende mettere a rischio il rassicurante vantaggio strutturale che ha messo su, mattoncino dopo mattoncino, in questi anni. Ma Brackley non è sola in questa battaglia di posizione. Nell’ultima riunione della F1 Commission, il board che determina le regole operative della massima serie del motorsport, la questione CapEx, ovvero quella parte di budget escluso dal totale annualmente concesso e che serve per investire col fine di migliorare le strutture, è riaffiorata. Anche stavolta è stata la Williams a spingere per una nuova discussione in merito.

Il CapEx decreta che le franchigie abbiano a disposizione 36 milioni di dollari da spendere in impianti (eccezion fatta per le gallerie del vento) in un arco temporale di quattro anni. E’ ormai noto, come desumibile dalla parte iniziale di questo scritto, che secondo Vowles questa cifra non consenta alla Williams né alle altre scuderie attardate di chiudere la distanza con le realtà più all’avanguardia. Deficit di strutture che si trasforma in ritardo cronometrico perché in Formula 1 senza tecnologia non si arriva lontano. 

Nonostante la chiara attestazione pare che al momento ci sia ben poco da fare. Come evidenziato in precedenza, non è solo la Mercedes ad opporsi al cambiamento. Un team unico non avrebbe la forza per arginare l’onda. In realtà la diga è composta da molti mattoni. Uno di questi è la McLaren che, da realtà arrancante, si è trasformata in un modello di riferimento per la F1

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amministratore delegato della McLaren Racing

La F1 non tende la mano ai team attardati

Zak Brown, uno degli artefici del “miracolo” di Woking, pur solidarizzando con la Williams, si è detto contrario a toccare certi elementi. Il discorso, secondo il manager americano, è semplice: una volta che una squadra presenta una richiesta tutti gli altri si sentono in diritto a chiedere qualcos’altro: “Quella che era iniziata come una richiesta della Williams di recuperare il ritardo si è trasformata in una conversazione sul fatto che dovremmo ricevere tutti 70-90 milioni“, ha spiegato a MotorsportTotal.

Un eventuale aiuto alla Williams, secondo il manager, genererebbe una sorta di meccanismo vizioso secondo cui altre equipe si sentiranno penalizzate perché non possono disporre di una tecnologia nuova come quella installata a Grove. “Quello che era iniziato come un aiuto alla Williams si è trasformato nel fatto che metà delle squadre volevano più soldi, mentre l’altra metà si opponeva. Sono contrario a spendere più soldi solo perché abbiamo tutti più risorse. Si creerebbe di nuovo una guerra delle spese“.

I motivi per i quali McLaren si dissocia dalla proposta della Williams sono chiaramente opposti a quelli della Mercedes. Ma, in definitiva, si arriva alla medesima conclusione: chi è estremamente attardato dovrà sfruttare le regole che esistono ora senza poter godere di alcun canale preferenziale. Il lavoro di Vowles, quindi, diventa estremamente difficile poiché eredita una gestione pessima che condizionerà, probabilmente, ancora a lungo la vita sportiva e tecnica della storica squadra inglese.


Autore: Diego Catalano – @diegocat1977

Foto: F1, McLaren, Williams

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