Considerando il contesto geopolitico attuale parlare di venti di guerra che spirano tra la FIA e Liberty Media sarebbe una forzatura sgradevole. Di certo il mondo della F1 è nuovamente attraversato da tensioni mai sopite e che, di tanto in tanto, riaffiorano in maniera decisa. Ciò avviene quando determinate problematiche non sono state affrontate alla radice che è stata lasciata germogliare nuovamente.
Proprietà e organizzatore della serie, ultimamente, sembrano voler mettere un po’ di pepe nel minestrone della Formula 1 che ha il sapore di una bibita energetica di nome Red Bull. Un castello di frizioni, quello tra Place de la Concorde ed Englewood, che sta caratterizzando gli ultimi mesi. Diverse le questioni su un piatto sempre più bollente.
F1. FIA/Liberty Media: quattro motivi di frizione
I punti dolenti del rapporto tra i padroni del Circus e l’ente che redige e mette in esecuzione le regole, fungendo poi anche da giudice, sono sostanzialmente quattro: limitazione alla libertà d’espressione dei piloti, Sprint Race, presunta vendita del pacchetto azionario in mano agli americani, allargamento ad altre scuderie in F1.
Per molto tempo le due entità che guidano la Formula Uno avevano discusso sull’opportunità di raddoppiare in numero le Sprint Race. Gli americani ne erano convinti sponsor, la Federazione, nella F1 Commission, si era messa di traverso facendo mancare l’appoggio dei suoi dieci delegati.
La colpa di Liberty Media, secondo Place de la Concorde, era aver soddisfatto le richieste economiche dei team e non quelle di chi gestisce la pista con le sue maestranze e i suoi mezzi. Lunghe interlocuzioni sono state necessarie per arrivare all’accordo basato, manco a dirlo, su una bella siringa di dollari fatta da John C. Malone e soci.
Dissidi superati? Parzialmente. Ma a sronte di un rapporto non più sereno che deriva dal quarto punto al quale si giungerà tra un po’. Un altro fronte che si è aperto durante la pausa invernale tra i campionati 2022 e 2023 è quello che ha visto la FIA, che ha sposato il codice etico del comitato olimpico internazionale, apporre un filtro censorio ai piloti che non sono più liberi, se non concordandolo, di esprimere posizioni su questioni politiche e sociali.
A corredo di questo quadro burrascoso – e giungiamo al terzo capoverso – si è messa anche la valutazione del dirigente emiratino su una eventuale cordata che aveva manifestato interessa ad acquisire, a suon di petrodollari, la F1. Con un comunicato piuttosto allusivo, Ben Sulayem aveva parlato di valori dello sport mortificati in nome della crescita economica e del fatturato.
Il presidente FIA aveva fatto riferimento ad un prezzo “gonfiato” e ciò non era piaciuto ai proprietari della Formula Uno che avevano ritenuto che l’ex rallista avesse superato i limiti del mandato federale. Un altro scambio di cannonate ad indebolire un muro già ampiamente bombardato da ambo i lati.
Ma la madre di tutte le divergenze si è concretizzata sull’ingresso di un nuovo soggetto in Formula Uno. Mohammed Ben Sulayem, ben prima di aprire il contest vinto dagli Andretti, si era dichiaratamente schierato in favore dell’ingresso del gruppo americano che si accompagnerà con Cadillac, motorista che intende diventare protagonista con le nuove norme che debutteranno nel 2026. Da quel momento la FIA ha fatto valere i regolamenti aprendo il bando i cui esiti sono noti da qualche giorno.
Stefano Domenicali e il gruppo che rappresenta non si sono mai esposti chiaramente sulla vicenda, sposando, a quanto pare, la linea dei team che non sono troppo convinti a rivedere il Patto della Concordia. O, per meglio dire, sarebbero disposti a farlo se i privilegi economici acquisiti non svanissero con un undicesimo soggetto in lizza. Da qui le serrate e le difficili trattative tra Andretti e la FOM i cui esiti potrebbero non essere così scontati. La mossa della FIA, che è andata dritta come una nave rompighiaccio, ha determinanto una frattura che solo il tempo potrà ricucire.
F1: Mohammed riapre lo scontro con Liberty Media
Giusto per rendere il tutto ancora più “frizzante”, Mohammed Ben Sulayem, a margine del Gp del Qatar, ha lanciato altre bordate che di certo non faranno felici le teste d’uovo di Liberty Media. Il n°1 della FIA vuol far crollare i bastioni sui quali il gruppo americano sta costruendo la F1: calendario allargato e dieci team in griglia.
“I circuiti dovrebbero avere box e spazio sufficienti per 12 squadre: penso che a essere eccessivo non sia il numero di squadre, ma il numero di gare. Abbiamo bisogno di più squadre e meno GP. Non si può obbligare Andretti e General Motors a comprare un’altra squadra solo perché i proprietari non vogliono vendere”, ha tuonato Ben Sulayem all’agenzia di stampa Reuters.
“Non farò nomi, ma mi hanno chiesto di andare a convincere la General Motors a comprare. Non è il mio lavoro. Non sono stato eletto per questo, non faccio l’intermediario. Il regolamento consente di avere 12 squadre. Alcune franchigie hanno detto che il paddock sarebbe stato affollato. Davvero? Però abbiamo una squadra di Hollywood tra noi”.
L’ultima affermazione, quella riferita al film sulla categoria che si sta girando in questi mesi, racconta di un rapporto logoro con la FOM che troverebbe – e come dargli torto – spazio in griglia per le attrezzature necessarie per le riprese cinematografiche e non per introdurre altre due o quattro macchine.
Di certo Ben Sulayem non si mostra distensivo ma non può essergli imputata l’incoerenza. Il n°1 di Place de la Concorde ha abbracciato la causa dell’allargamento sin dal primo giorno dopo le elezioni. In un mondo di banderuole almeno uno che cerca di non adeguarsi al mutare del vento c’è. Con la speranza che quando iniziato con Andretti possa finalmente portare la F1 ad accogliere un altro soggetto.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, FIA