Il diciottesimo weekend di F1 in Qatar non ha fornito riscontri sorprendenti. Si sapeva che il rendimento di Red Bull e McLaren sarebbe stato molto alto, con Mercedes, Ferrari e Aston Martin all’inseguimento di questo duo. Anziché soffermarci sui valori in campo pressoché invariati, già ampiamente “attenzionati” tramite le nostre consuete analisi on board, prestazionali e telemetriche, può senza dubbio risultare utile realizzare un excursus sulle difficili condizioni che i piloti hanno dovuto affrontare sul circuito di Losail.
Parliamo di cordoli aggressivi, track limits davvero rigidi, scarso grip per via della sabbia ma soprattutto molto vento. Proprio su questo ultimo punto andiamo a focalizzare la nostra attenzione, per cercare di capire come l’aria possa inficiare sulle prestazioni di un’auto di F1, rendendole estremamente complicate da condurre. Ci rifaremo anche a semplici concetti fisici per inquadrare al meglio la situazione.
Partiamo dalla base: le vetture di F1 sfruttano diversi componenti per produrre deportanza, una forza diretta verso il basso che spinge l’auto verso l’asfalto, aumenta la zona di contatto degli pneumatici e di conseguenza il grip. Le principali superfici deportanti sono gli alettoni e il fondo. Per quanto riguarda le ali e il loro funzionamento vige una “semplice” relazione fisica: L = 0.5* ρ*A*v^2*CL.
“ρ” ( dal greco “rho”) è la densità dell’aria. Parliamo di un parametro che varia principalmente in funzione di temperatura, pressione e in misura minore dall’umidità. Per convenzione il valore attribuito è di 1,225 Kg/m^3, valutato a 15°C e al livello del mare. Nel caso particolare del Qatar, dove le varie sessioni si svolgono in orari diversi della giornata, il valore di rho può oscillare da un minimo di 1,164 Kg/m^3 (es. qualifiche in notturna con temperatura dell’aria di 30°C) sino a un massimo di 1,127 Kg/m^3, quando la temperatura esterna tocca i 40°C.
Gli scostamenti sono quindi relativamente piccoli e non incidono più di tanto sui valori di downforce prodotti. Tuttavia, a parità di deportanza prodotta, di base è possibile viaggiare con ali più scariche in notturna. “A” è la l’area frontale, ossia il valore espresso in m^2 che occupa l’ala vista da davanti. Il suo valore muta principalmente in funzione dell’angolo d’attacco del flap: più è ampio maggiore sarà l’area frontale. Le specifiche da maggior carico, quindi, forniranno valori di A maggiori.
“CL” è un coefficiente adimensionale non dotato di unità di misura che dipende dalla forma del profilo aerodinamico. Varia anch’esso con l’angolo di attacco. Mentre “V” è ovviamente la velocità espressa in m/s. Si tratta del principale parametro da cui dipende la deportanza, in quanto il suo legame è quadratico. Questo per dire che, se la velocità raddoppia, la “L” prodotta sarà quattro volte maggiore, se triplica diventerà nove volte più grande e così via. Questo stretto legame con la velocità ci permette di capire come il vento possa scombussolare le prestazioni.
Il moto ventoso non è altro che l’aria in movimento con velocità e direzione mai costanti, da un punto A di alta pressione a un punto B di bassa pressione. Maggiore è la differenza di pressione tra A e B, più significativo sarà il gradiente che sposta la massa d’aria. Un salto di pressione maggiore permette all’aria di spostarsi più rapidamente ma per distanze minori, andando così a formare le cosiddette raffiche di vento o “wind gusts”, come vengono apostrofate in Gran Bretagna.
Più che l’intensità il vero problema che disorienta i piloti è la sua incostanza. Conoscendo la provenienza del vento è possibile adattare la guida per assecondare le condizioni: un moto ventoso di coda, per esempio, allungherà la fase di staccata e ridurrà anche il carico prodotto dalle ali. Mentre uno frontale permette di frenare leggermente più tardi e al contempo fornisce più confidenza nelle curve veloci. Il vento traversale è invece il più “rognoso”, se cosi possiamo chiamarlo.
Quando la direzione del vento è incerta, molto spesso ci si ritrova ad affrontare le curve compiendo dei veri e propri salti nel vuoto. E’ facile anche capire perché. Abbiamo scritto che la deportanza è una funzione principalmente legata alla velocità. Immaginiamo ora una curva di un tracciato qualsiasi dove soffia vento in faccia al pilota. Se in quella piega normalmente si entra a una velocità con un valore ipotetico V1, il carico prodotto sarà dato dalla formula vista in precedenza e assumerà un valore L1.
Tuttavia, se nella stessa curva arriva una folata di vento improvvisa (con direzione concorde al vento e di valore costante), la velocità relativa dell’aria non sarà come prima V1, bensì V1 + ΔV ( con ΔV il valore in m/s della raffica di vento). Di conseguenza l’ala produrrà più deportanza e il pilota potrà raggiungere una velocità in curva superiore rispetto alla tornata precedente.
Per dare un contesto a tutte queste parole pensiamo allo scorso fine settimana. In Qatar, venerdì pomeriggio, le raffiche di vento hanno raggiunto valori prossimi ai 35 km/h ( = circa 10 m/s) capaci di causare scostamenti di carico sino a 10 punti percentuali. Nel caso in cui la raffica soffiasse in direzione opposta, il termine ΔV si sottrarrebbe alla velocità iniziale V1, comportando quindi una diminuzione del carico totale della monoposto analizzata.
Entrambi gli esempi sono estremamente semplificati per rendere l’idea. Un’ipotesi che chiaramente verrebbe meno nel caso reale sarebbe la costanza della velocità della raffica e la sua direzione sempre concorde al vento. Tuttavia questo spiega in parte la difficoltà dei piloti a guidare con il vento, in quanto devono essere dotati di una sensibilità estrema verso il grip aerodinamico per adattare l’handling alle diverse condizioni.
Il vento trasversale è senza dubbio più difficile sia da spiegare che da gestire. I team di F1 spendono una parte delle ore concesse in galleria del vento a studiare i comportamenti della vettura a diversi angoli di Yaw o di imbardata, che si formano quando la vettura ruota attorno al proprio asse verticale. Sostanzialmente, in questi esami si ruota la monoposto di un certo angolo rendendola trasversale al flusso d’aria che scorre in galleria.
Possiamo facilmente capire che qualora la macchina fosse investita trasversalmente dall’aria, una parte delle superfici (quelle più esposte al flusso) produrrà più carico delle corrispettive simmetriche, creando uno squilibrio aerodinamico e quindi la perdita del corretto bilanciamento. Tutto ciò si può tradurre in problemi di sottosterzo o sovrasterzo a seconda della morfologia del tracciato.
Inoltre, con angoli crescenti di imbardata, il corpo vettura tende sempre a comportarsi come se fosse una vela: è oramai noto come l’aria si muova per mezzo di differenze di pressione e quando sbatte su una superficie genera una forza definita “di pressione”. Essa viene valutata nel seguente modo: F = p*S. Si evince che tale forza sia direttamente proporzionale alla superficie esposta, la quale a sua volta varia con l’angolo di imbardata, rendendo quindi critiche le curve e i tratti in cui ci si pone sempre più perpendicolari al vento.
Anche il fondo può risentire del vento traverso, principalmente perché si modifica la cosiddetta mappa aerodinamica del pavimento dell’auto: parliamo dell’insieme dei valori di pressione in ogni punto del fondo. Riuscire a mantenere intatta questa mappa è di vitale importanza, poiché è proprio grazie a questo fattore che si riesce a produrre carico in maniera efficiente e mantenere l’auto bilanciata.
Non si tratta di una ricetta perfetta per combattere gli effetti nocivi di vento e raffiche proprio per la loro natura improvvisa e imprevedibile. Ciononostante i tecnici spendono molte ore di simulazione al CFD e in galleria del vento. L’obiettivo è chiaro: toccare con mano ciò che succede una volta esposti al vento per “ingegnerizzare” le vetture e provare a renderle quanto più insensibili alle folate. Aspetto sul quale Ferrari, come sappiamo, ha dimostrato di non essere particolarmente ferrata.
Ferrari SF-23: le criticità
Sin dalla prima sgambata in pista durante i pre season test dello scorso febbraio in Bahrain, i tecnici del Cavallino Rampante hanno ricevuto determinate conferme su alcuni sospetti già nutriti in fase progettuale: la struttura vorticosa della SF-23 non lavorava in pista nella maniera ipotizzata tramite i calcolatori. Un problema di fondo di non facile risoluzione in linea generale e tanto meno all’interno di un corpo normativo che restringe quanto più possibile i test in pista.
Oltre all’impostazione obsoleta relativa a diversi concetti aerodinamici che nelle attuali wing car non portano particolari vantaggi, va pertanto considerato come l’aerodinamica della SF-23 continui a soffrire specifiche condizioni ambientali che aggravano un contesto di per se già non perfettamente funzionante. Come detto, considerando la scure del budget cap, stravolgere determinate filosofie non è possibile. Questo perchè le forme che possiamo vedere ad occhio nudo in gran parte sono vincolare alle strutture della monoposto “nascoste” sotto la carrozzeria, come ad esempio telaio e struttura di impatto.
Vien da se che il reparto tecnico della rossa capeggiato da Enrico Cardile ha potuto modificare solo in parte l’aerodinamica della SF-23. Senza dubbio, benchè i risultati ottenuti abbiano migliorato la gestione dei flussi dell’auto italiana, alcuni problemi continuano a fare chiara presenza. Ragion per cui, ad esempio, in Giappone è arrivata l’ennesima (quarta della stagione) specifica del fondo successivamente promossa anche in Qatar.
Vasseur unitamente ai “due Carlo” ha spesso menzionato il vento come nemico numero uno della Ferrari. In molti hanno commentato e definito queste parole come “semplice scusa” per giustificare prestazioni insufficienti, considerando che tali condizioni esistano non solo per la rossa. Tutto vero a rigor di logica sino a che non valutiamo un fatto peraltro a noi confermato dalla stessa gestione sportiva: la SF-23, rispetto alle altre monoposto di F1, è decisamente più sensibile al vento.
Giunti alla parte finale dello scritto un quesito sorge spontaneo: perché l’auto di Maranello mostra tale disagio in percentuale maggiore se paragonato ad altre vetture? Partendo da presupposto che la risposta non è certamente semplice, specie non lavorando all’interno della GES e quindi non potendo accedere alle simulazioni in mano ai tecnici italiani, possiamo dire che “l’incertezza intrinseca” relativa alla struttura vorticosa prodotta dalla SF-23 in determinati range di velocità abita alla base di questo grattacapo.
Sappiamo come le curve medio-veloci siano difficilmente digeribili dalla rossa. Ne abbiamo ricevuto conferma ancora giusto qualche giorno fa. Osservando gli on board si notava chiaramente una certa propensione della SF-23 alla perdita di carico nei tratti rapidi di Losail. Parliamo di una certa instabilità che lo stesso Leclerc ha commentato in radio a più riprese, definendosi fortunato di non aver perso la vettura finendo contro le barriere.
La mappa aerodinamica della Ferrari perde parecchia efficienza quando il vento trasversale la colpisce e di riflesso le perdite di carico localizzate danno vita a questa netta instabilità peraltro improvvisa. Condizione difficilmente amministrabile dai piloti. I vari aggiornamenti hanno concesso l’utilizzo di altezze da terra più consone. In tal senso, poter deliberare misure minori rispetto al piano di riferimento (asfalto) quando si definisce la messa a puntò della vettura, aiuta a schermare le folate di vento che tendono a infilarsi sotto il pavimento dell’auto.
Ciononostante, per tutti le ragioni commentante in precedenza, la struttura vorticosa della vettura modenese continua a patire tremendamente tale contesto. Motivo per il quale, in alcuni layout, l’unica soluzione utile alla causa riguarda la ricerca nel minimizzare questo status limitante. Di più non si può fare al momento.
Autori: Andrea Mauri – howf1works –Andrea Bovone
Immagini: Scuderia Ferrari
Bella questa analisi tecnica ma credo comunque insufficiente, questi sono calcoli basati sul drag, cosa che con le nuove vetture il drag dovrebbe essere il più inferiore possibile. Quello che lavora di più dovrebbe essere il tunnel venturi, il problema e che il tunnel venturi e tropo antiquato, spiffera ovunque, il plank e della concezione 2022 quasi. Rivediamo un po il taglio dell’aria sul corpo della vettura e il funzionamento del tunnel venturi, Newey sulla red bull ha fatto un capolavoro, se devi avere spigoli fai in modo che siano lineari cosi si mascherano nelle turbolenze, le pance stile ferrari creano drag dove le red bull le ha allineati con i braci delle ruote anteriori, il tunnel sulla red bull crea turbolenze a lato per forzare il flusso a stare sotto la vettura e rendere il massimo, in più e incanalato. Guardate bene le foto dell’auto di perez sollevata, si capisce il lavoro geniale del canale venturi convogliato. La Ferrari ha lavorato sul diffusore e beam wing, si, importante ma non sufficiente. Secondo me, quello che e sfuggito alla Ferrari e guardare il quadro complesso della vettura ed analizzare quello che si vede della vettura rivale del 2022 e lavorare duramente per apprendere la genialata del effetto vetturi dell’avversario, quando le auto sono state forzate a sollevarsi per non creare porpoising gli ingegneri e responsabili aerodinamica dovevano farsi delle domande.