La stagione di F1 2023 si avvia verso l’epilogo con pochi sussulti dopo che entrambi i campionati sono stati assegnati con lunghissimo – e noiosissimo – anticipo. Verdetti secondari (lotta per il secondo posto che coinvolge Ferrari e Mercedes) e minori sono da emettere e un gran premio inedito, quello di Las Vegas, da disputare per animare una fase conclusiva che altrimenti contribuirebbe ulteriormente alla fuga di spettatori certificata da certi numeri che iniziano a preoccupare Liberty Media.
Mentre le ultime pagine del libro sportivo annuale vanno completandosi, i primi bilanci possono essere delineati. Per quanto riguarda Maranello non è possibile parlare di stagione da incorniciare. Anzi, dopo gli annunci roboanti del 14 febbraio, data in cui la SF-23 venne rivelata al mondo, la stagione rossa sa di mezzo flop che la vittoria di Singapore non può affatto nascondere.
Ma, nell’anno della rivoluzione della Gestione Sportiva, c’era da aspettarselo. Insomma, che servisse del tempo era cosa arcinota e chi oggi si duole e sbraita per una Ferrari che non s’impone alla concorrenza ha smarrito i lumi e forse le basi del ragionamento logico. Roma non fu costruita in un giorno, figurarsi il Cavallino Rampante che vive di dinamiche interne estremamente complesse e opera sotto una pressione mediatica che altrove si sognano.
“La Ferrari non vince un titolo piloti dal 2007 e uno Costruttori dall’anno successivo, la pazienza è finita!”. Così direbbe più di un tifoso. E non avrebbe torto. Ma le cose si possono, anzi si devono, osservare da più angolazioni. Se in oltre tre lustri la scuderia di Maranello non è stata capace di portare a casa il bottino grosso c’è di certo un problema più alto che soverchia le responsabilità dei singoli capi della GeS che si sono avvicendati in questo circoscritto arco temporale.
Cinque sono i team principal che si sono succeduti dal 2008 ad oggi: Stefano Domenicali, Marco Mattiacci (durato quanto il volo di una farfalla), Maurizio Arrivabene, Mattia Binotto e Frédéric Vasseur. Tutti, chi più chi meno, hanno incontrato difficoltà che sovente sono sfociate nel fallimento. Una costante delusione che forse spiega come sia il contesto a condizionare l’operato più che l’operatore ad incidere sull’insieme.
Ferrari: il pesante fardello ereditato da Vasseur
Fred ha lasciato la Sauber lanciandosi con entusiasmo in un nuovo percorso professionale. Una sfida affascinante nella quale si celano insidie che forse non erano state ben calcolate nel momento delle trattative e delle firme successive. Il manager di Draveil ha ereditato un carico pressorio enorme che si associa alla frenesia dell’ambiente che smania la vittoria più di ogni altra cosa.
In Ferrari, potenzialmente, c’è tutto per trainare il carrozzone della Formula Uno: soldi, competenza, passione. Manca solo un piccolo grande dettaglio che sovente è stata la causa dei mali rossi: la pazienza. Proprio la brama di fare le cose in fretta è la condanna che inchioda i dirigenti sportivi che hanno preso le redini del puledro rampante.
I primi mesi per l’ex Sauber non sono stati una passeggiata di salute. La ristrutturazione della Gestione Sportiva è in ancora pieno corso di svolgimento e le prestazioni che la SF-23 ha offerto sono state al di sotto di ogni più mesta aspettativa dato che doveva essere l’auto del rilancio. Una macchina che le ha prese sonoramente dalla Red Bull, ha per troppo tempo arrancato anche nei riguardi della Aston Martin AMR23, non è stata capace di staccare la deludente Mercedes W14 e ultimamente si fa bastonare dalla rediviva McLaren MCL60.
Da qui l’insoddisfazione generale col povero Vasseur messo già sul banco degli imputati sebbene abbia preso possesso dei suoi uffici a gennaio, praticamente ieri, trovando una situazione assai caotica. Il francese ha bisogno di tempo ancor prima che di fiducia. Le figure apicali della scuderia italiana erano consapevoli del fatto che il lavoro che doveva affrontare era di portata ciclopica. Aumentare la pressione dopo un anno opaco non avrebbe senso e rischierebbe di rimettere in moto quella pompa tritatutto che ha fagocitato dirigenti, tecnici e piloti imponendo risultati sportivi modesti e vagonate di delusioni.
Intorno al mondo Ferrari non c’è posatezza di giudizio. Si passa da un estremo all’altro come in una giostra fuori controllo. Forcaioli e attendisti che si agitano nello stesso calderone bollente a creare un mix esplosivo. I narratori che creano più confusione di quella che vedono, spesso a torto, all’interno delle segrete stanze della GeS, un luogo mitico e mitizzato dove, in realtà, altro non si fa che lavorare e provando a strutturare sistemi validi per portare Charles Leclerc e Carlos Sainz a vincere in pianta stabile e non a doversi accontentare di trionfi rari e quindi quasi effimeri.
Tra le fila del partito dei pazienti, recentemente, si è accomodato Ralf Schumacher, uno che la realtà modenese la conosce di riflesso considerando i successi ottenuti da suo fratello Michael. Il ragionamento dell’ex Williams parte da quanto accaduto in Brasile con una Mercedes in crisi nera e una Ferrari incapace di darle la mazzata definitiva. Cosa che dipenderebbe da un team che non ha ancora compiuto il suo cammino di crescita.
“La Mercedes è stata molto lenta in Brasile. Avevano grandi speranze, la delusione è stata evidente. Per questo temo che la Mercedes non sia ancora fuori dai guai. Questo preoccupa Wolff. La debolezza della Mercedes è stata in realtà un’opportunità per la Ferrari nella lotta per il secondo posto nel campionato costruttori. Ma anche la Rossa non ha avuto un buon weekend. Fred Vasseur non è in grado di trasformare l’intera azienda in sei o sette mesi. Anche Michael, Ross Brawn e Jean Todt ci hanno messo qualche anno. Con la Ferrari bisogna avere pazienza“.
Concetto lineare che, nella chiosa, è un invito ad osservare ed imparare la lezione che la storia ha impartito. Vasseur ha dovuto mettere mano a tanti di quegli aspetti che pretendere una resa immediata sarebbe stata follia. D’altro canto, proprio nei giorni scorsi, Jean Todt, uno dei principali artefici di quella stagione sportiva forse irripetibile, ha predicato calma osservando quanto accade in Ferrari.
“Se in Ferrari le cose non funzionano – aveva osservato l’ex n°1 della FIA – la tendenza è quella di chiedere la testa dei team principal. E questo non è necessariamente una buona cosa. Quando c’ero io uno dei vantaggi che poi ci ha permesso di avere successo era proprio quello di poter beneficiare della stabilità”.
Pazienza e stabilità, due concetti che in Red Bull e Mercedes sono ben noti visto che a Milton Keynes Chris Horner è di casa dal debutto del team in F1 e a Brackley Toto Wolff è arrivato nel 2013 prendendo così tanto spazio da diventare uno dei tre proprietari della scuderia. Casi lampanti che evidenziano che, col supporto delle giuste competenze e la pazienza dei vertici aziendali, la continuità paga. La cura Vasseur, insomma, non può essere somministrata una tantum, è necessario un programma terapeutico lungo per poter riscontrare effetti sensibili.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari, FIA