Prima o poi dovremo fare una cronistoria del perché e del come mai la Ferrari abbia accettato supinamente, nella fase finale (e calante) della dorata gestione Montezemolo, una serie di norme e regole che avrebbero svilito la ricerca della massima espressione velocistica e tecnologica applicata a monoposto a ruote scoperte.
Accettazione che avrebbe avviato la categoria pomposamente definita dagli inglesi “the pinnacle of motorsport” (della serie che “se la cantano e se la ballano da soli”) verso il monomarca (tanto amato negli Usa) dove viene esaltata la durata delle componenti, non la loro prestazione assoluta.
Non ci siamo ancora del tutto, certo, ma comunque l’indirizzo è chiaro e in atto dalla fine del primo decennio del 2000. I tempi cambiano, ovvio, e la F1 cambia di conseguenza. Tuttavia non è detto che il cambiamento si debba subire sull’ondata delle mode o delle idee che s’impongono nell’agenda politica (si pensi a tutta la retorica ecosostenibile). Lo si potrebbe governare, indirizzare. Ma questo è un altro discorso, un’altra storia.
Ferrari: giovani ingegneri per migliorare la correlazione pista-simulatore
Fatta questa premessa rancorosa (del sottoscritto), veniamo al dunque. Le regole non cambieranno, e quindi non ha molto senso continuare a pensare al passato. Oggi una monoposto di F1 si regge su tre gambe, per lo più virtuali: studio al computer delle forme aerodinamiche, studio nella galleria del vento e studio al simulatore. La pista arriva all’ultimo. Se non si eccelle in tutte e tre, non si vince.
Ferrari era diventata vincente quando si potevano usare liberamente i test in pista. Non era assicurazione di vittoria, ma certo aiutava i tecnici a verificare rapidamente, nella realtà, come funzionava la monoposto.
Da quando non esistono più i test privati, se non quelli gentilmente concessi con il contagocce da mamma FIA, Maranello ha progressivamente perso il bandolo della matassa e, soprattutto, raramente è riuscita a sviluppare anche le monoposto nate bene per continuarle ad essere vincenti nella seconda parte di stagione. E’ storia nota.
Ed è evidente che in questa situazione, “convertirsi” ad una filosofia quasi tutta virtuale non dev’essere stato facile. Un certo immobilismo tecnico, in aree critiche della monoposto, sta ad indicare proprio questo.
Dunque, da nostre fonti, possiamo dire che Vasseur quando ha anticipato che sarebbero arrivati molti tecnici di grido diceva una mezza verità. O, se vi piace, una mezza bugia. A parte Loic Serra (che arriverà molto più in là) abbiamo saputo poco altro sino a poco tempo fa.
Ora possiamo riportare (da fonti di prima mano) che alcuni tecnici sono già operativi, ma una buona parte (circa 15) arriveranno ad inizio ’24, finito il periodo di gardening. Sono giovani, ma hanno già esperienza nei settori per i quali sono stati presi, in particolare la simulazione e il CFD. Ora, è vero, tutti ci aspettavamo grandi nomi, che (a parte uno) non sono arrivati. Tuttavia l’innesto di “forze fresche”, nel corpaccione della GeS non potrà fare altro che bene.
Ed è un segnale importante anche sotto un altro aspetto. Che la Ferrari ha finalmente capito che deve cercare di aprirsi a nuove metodologie, nuovi modi di vedere le cose, di lavorare. Perché sino ad oggi, pur avendo tecnici di valore (forse non eccelsi ma neanche “gente presa dalla strada”) il modus operandi in F1 ha prodotto il secondo periodo record (per ora) di digiuno da un titolo mondiale.
Anche da questo punto di vista, dobbiamo leggere le recenti dichiarazioni del presidente Elkann su come la scuderia si sta muovendo. Dunque, l’attesa di vedere la nuova monoposto in pista, si tinge anche di questa interessante sfumatura positiva.
Autore: Mariano Froldi – @MarianoFroldi
Immagini: F1, Scuderia Ferrari