F1 e FIA su molte cose non vanno d’accordo. Tuttavia un fatto le accomuna: la voglia/necessità di fare soldi. Sì perchè alla fine dei conti, malgrado le mille chiacchiere attorno alla questione, il desiderio di allargare il parco delle scuderie presenti nella massima categoria del motorsport è spinta da un solo obiettivo: racimolare quanto più denaro possibile. In questo la proprietà a stelle e strisce e la Federazione internazionale non fano sconti a nessuno.
Basta ricordare le lotte verso determinati circuiti per avere più emolumenti o la voglia di correre in pista più o meno adeguate se conviene alle proprie tasche. La polemica fa parte del cappello introduttivo di questo articolo e con ogni probabilità continuerà a farlo anche nel suo proseguo. Da qualche anno la F1 ha deciso che i marchi all’interno del paddock non sono abbastanza. Per questo l’idea di poter annoverare altre case automobilistiche si è fatta spazio tra le menti che abitano il Circus.
In linea generale non si può certo definire errato il concetto. Tuttavia quello che a nostro modo di vedere stona, riguarda la modalità con la quale questa possibilità è stata pensata e messa in atto. Il mondo della Formula Uno è da sempre elitario, lo sappiamo. Entrare in corsa senza avere esperienza significa non avere possibilità di essere competitivi. Tutto vero. Per cancellare questo handicap, pertanto, si è deciso di stravolgere le norme ancora una volta.
Il tutto per dar modo ai pretendi di entrare dalla porta grande. Offrire la possibilità di fare centro al primo colpo. In altre parole, si può tranquillamente gettare alle ortiche una tecnologia oramai matura e fattuale, quella sulle power unit, scombussolando la proporzione tra endotermico e ibrido. Tutto questo in nome della tecnologia? No signore, perchè il vero scopo come detto è solo uno: rendere sempre più ricca e visibile la categoria.
La FIA non torna indietro: i team di F1 erano d’accordo…
Mohammed Ben Sudyemen è il presidente della Federazione Internazionale. L’ex rallista emiratino, in tempi non sospetti, ha fatto sapere a più riprese e in maniera decisa, che il corpo normativo che andrà in scena dalla campagna agonistica 2026 non subirà nessuna modifica. Non ci sente il sessantaduenne nativo di Dubai, Emirati Arabi, in quanto le decisioni sono state prese e sono irreversibili. Non importa se adesso alcune scuderie non sono d’accordo.
Per perorare la sua causa, e qui dargli torto è difficile, il boss della FIA sostiene che il regolamento non è stato imposto ma bensì è stato votato dalle squadre. Ecco perché “piagnistei o ripensamenti” non verranno presi in considerazione. Come dargli torto sotto questo aspetto. Per di più, sempre Sulayem, aggiunge cifre al valore della sua tesi menzionando la così detta “zona di comfort”. Parliamo di uno stato psicologico all’interno del quale un team si sente a suo agio, consapevole che tutto è sotto controllo.
Tale prerogativa limita l’accesso di nuovi investitori e quindi non va bene. Bisogna necessariamente guardare al futuro abbattendo determinate resistenze. Senza questo atteggiamento, per esempio, Audi non sarebbe entrata in F1. Perdere la possibilità di avere tra le proprie fila il colosso fondato nel 1909 da August Horch non era tollerabile. Stesso discorso per il forte interesse di Porsche. Perciò cambiare le regole in corsa non è possibile, per buona pace di chi ha scritto la storia di questo sport.
Il furto resta incerto. Allo stato attuale delle cose è difficile capire cosa succederà. Il gruppo tecnico della FIA è convinto che la strada intrapresa verso le nuove tecnologie sarà fattuale. Tuttavia, tenendo presente il trascorso, possiamo dire che diverse rivoluzioni hanno portato scompiglio in F1 e parecchi obbiettivi che la Federazione Internazionale si era prefissata non sono stati raggiunti. Essere dubbiosi, quindi, non suona poi così strano. Una cosa è certa: la bramosia di mettere da parte l’etica di questo sport continua a fare presenza quando il “Dio danaro” chiama.
Autore: Alessandro Arcari – @berrageiz
Immagini: Federazione Internazionale – Formula Uno