Il progresso è un vento che, inesorabile, spazza via il passato. In F1 questa tempesta si è manifestata modificando il mondo in cui si progettano e si testano le vetture. Ovviamente è servito il supporto normativo per spostare lentamente la definizione dei bolidi dalla sfera materiale (modelli in gallerie a prove a ciclo continuo in pista) a quella virtuale delle analisi computazionali. La Ferrari non sempre è riuscita a cavalcare il cambiamento e parte del ritardo accumulato è stato frutto di alcune scelte politiche rivelatesi deboli.
All’inizio degli Anni Dieci la Scuderia accettò di perdere tutti i suoi punti di forza firmando aderendo a un documento che prevedeva la morte dei propulsori aspirati, l’annullamento totale dei test privati nonostante il Cavallino possedesse alcune piste e una squadra prove invidiata da tutto il mondo, e lo spostamento della progettazione e dello sviluppo delle monoposto sul versante virtuale. Aspetto, questo, nel quale si stanno compiendo passi in avanti dopo anni di affanno.
La strada è tracciata e non si torna più indietro, quindi bisogna adeguarsi: i destini della massima serie dell’automobilismo sportivo sono legati al programma Net Zero Carbon, mossa tramite la quale i decisori intendono contenere le emissioni. E un modo per applicare questa visione è limitare le uscite in pista ritenute superflue. E i test, ahinoi, così vengono percepiti oggigiorno.
Passano gli anni, le linee di continuità restano. Frédéric Vasseur, che evidentemente si fa latore della concezione strategica che impera a Maranello, durante l’incontro stampa prenatalizio, si è detto molto scettico sull’idea di riavere i test in pista come una ventina d’anni fa. “Se restassimo con il budget cap attuale, reintrodurre i test privati sarebbe molto difficile perché hanno dei costi enormi”.
“Se cominci a fare i test, devi produrre il doppio dei motori. In un solo giorno di prove, accumuli il chilometraggio di un weekend di gare. Fare 20 giorni di test equivale a un’intera stagione in termini di componentistica”.
Vero, verissimo. Ma il problema non va affrontato col dogmatismo che si realizza nell’intoccabilità del cost cap. I team, anche grazie al modello di business introdotto da Liberty Media, guadagnano di più di quanto spendono. Stante questa evidenza si dovrebbe lavorare sulla revisione dei limiti annuali di spesa, ma nessuno è davvero convinto a farlo.
La F1, quindi, accetta di insistere sulla virtualizzazione che non sempre riesce a prevedere nel dettaglio ogni dinamica che si presenta sull’asfalto. Ne è un lampante esempio quello del pompaggio aerodinamico che è deflagrato due anni fa non appena le vetture “next-gen” misero le ruote in pista. Ma, nonostante ciò, Vasseur sostiene che il modello attuale non sia modificabile: “Con il Cost Cap è impossibile reintrodurre i test privati. Potremmo discutere di una o due sessioni, ma non dimentichiamo che in parallelo ci sono anche i test Pirelli. Il calendario non è fatto solo di gare”.
Ferrari: la crescita del comparto virtuale
Quindi bisogna fare di necessità virtù e spingere forte sull’aspetto simulativo per spendersi come soggetto credibile per lottare per i bottini grossi. A Maranello, specie con la delibera del nuovo simulatore, sono stati compiuti passi da gigante sul versante delle correlazioni. Ne ha dato conto, ad AMuS, il direttore tecnico del Cavallino Rampante, Enrico Cardile: “Sono soddisfatto del livello di correlazione che abbiamo raggiunto, che si tratti di CFD, galleria del vento o simulatore di guida”.
E’ una fase precisa dei week end di gara a rassicurare gli uomini in rosso sulla “solidità computazionale” raggiunta. Ancora Cardile: “I weekend Sprint, quando si ha solo un’ora per preparare la macchina, lo dimostrano. Si dipende molto di più dalla preparazione che è il risultato delle simulazioni. Riconosciamo di avere prestazioni medie migliori nei weekend sprint rispetto ad altri team. È uno dei nostri punti di forza”.
Avere a disposizione una sola ora di prove rappresenta un severo stress test che, nonostante il ritardo tecnico della SF-23 sulla Red Bull “spaccaghiaccio”, ha visto le prestazioni della monoposto essere migliori rispetto a quando c’è più tempo per lavorare. Segno che i compiti a casa vengono svolti per bene e che si arriva in pista con un set up già molto centrato. L’esatto opposto di quanto ad esempio accade in Mercedes che ha mediamente sofferto la mancanza di Fp2 e di Fp3.
I primi due anni del nuovo corso tecnico della Formula 1 sono serviti alla Ferrari per calibrare al meglio il sistema. Ora si punta a raccogliere i frutti di un lavoro necessario e che, specie nell’ultimo campionato, ha limitato le prestazioni. Ma resta la fiducia per l’ultima parte dell’annata quando la vettura, pur con i suoi limiti strutturali, è andata in crescendo e ha visto funzionare immediatamente i residuali update introdotti.
Segno tangibile che si è cominciato a trovare la soluzione ai problemi che si sono presentati sin dal primo giorno in cui la SF-23 ha messo le ruote in pista. Cardile ha spiegato che i dati raccolti sui vari circuiti sono stati sottoposti ai sistemi virtuali e questi, caricati con gli elementi corretti, hanno preso a fornire le risposte giuste, quelle che si attendevano. Se questo basterà per portarsi ai livelli della Red Bull già in questo 2024 lo capiremo solo da marzo in poi, ma di certo è un buon viatico per pensare di metter su una stagione con qualche soddisfazione in più. Il resto verrà da sé.
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Scuderia Ferrari