Adrian Newey lo aveva detto in tempi non sospetti: ciò che contribuisce a costruire un team vincente è anche il modo di organizzare il processo di decision making. Il progettista, alludendo al “modello orizzontale” introdotto da Sergio Marchionne con la Ferrari, aveva spiegato che in Red Bull pur essendoci figure apicali universalmente riconosciute, ogni membro dello staff ha facoltà di proporre idee e di connetterle con quelle dei colleghi in un continuo e stimolante processo creativo che poi verrà incanalato sui binari giusti dai responsabili tecnici.
Per questa natura aperta e democratica è possibile che anche figure di spicco dell’establishment progettuale possano divergere su concetti rilevanti e sulla loro utilità applicativa. L’oggetto della disputa, per ora verbale, è l’effettività dell’aerodinamica attiva che dovrebbe avere una quota di un certo rilievo nella F1 post decongelamento regolamentare.
Le regole aerodinamiche 2026 saranno definite entro giugno 2024 e si assisterà a una significativa riduzione della resistenza aerodinamica per le monoposto. “Le vetture attuali – ha riferito recentemente Nicholas Tombazis – hanno un paracadute invisibile in rettilineo. Vogliamo toglierlo anche per coerenza ambientale. Come? Riducendo la resistenza all’aria. Le monoposto avranno alcuni elementi mobili, questo aiuterà sui rettilinei“.
Quali saranno questi elementi non è ancora chiaro. In ogni caso il dado è tratto e dovremmo abituarci ad altri pezzi semoventi che, probabilmente, verranno attivati senza dover sottostare ad un particolare gap cronometrico tra chi è avanti e chi insegue. Questa cosa, se confermata, potrebbe finalmente risolvere la contraddizione del DRS e dei suoi “sorpassi autostradali” che sono invisi allo zoccolo duro dei fan.
La Formula Uno, da quando è nata, è stata il laboratorio nel quale si sono testati elementi che usiamo nelle auto di tutti i giorni dacché ha sempre messo in primo piano la ricerca e l’innovazione finalizzate all’abbattimento di quel decimo di secondo capace di fare la differenza sui rivali. In questa fase storica potrebbe accadere l’esatto contrario come sottolineato da Adrian Newey che non si era detto affatto avverso al concretizzarsi di una travaso inverso tra sport e produzione.
“L’aerodinamica più attiva serve proprio per cercare di compensare una power unit che manca di energia – ha spiegato il capo tecnico della Red Bull – Non penso che sia affatto una cosa negativa. Cercare di arrivare a una maggiore efficienza aerodinamica del veicolo è chiaramente un buon obiettivo”.
“Perché l’aerodinamica attiva non dovrebbe farne parte della F1 2026? L’aerodinamica attiva ha avuto una cattiva reputazione solo quando le ali si staccavano negli anni ’60. Ora siamo ben oltre. L’aerodinamica attiva si è dimostrata efficace sulle auto stradali e, se travasata sui bolidi a ruote scoperte, può permettere alla Formula 1 di mostrare tutta la sua potenza“. Questa l’idea del tecnico inglese che non viene sposata da un suo stretto collaboratore.
Anche se la cornice regolamentare 2026 non è ancora definita e sebbene esista un divieto di lavoro sulle vetture della F.1 3.0, le scuderie non dormono e iniziano a fare simulazioni in base agli sparuti elementi che hanno tra le mani. Pierre Waché, direttore tecnico della Red Bull Racing, ha spiegato che nelle primordiali analisi computazionali fatte in fabbrica le sensazioni sulle vetture 2026 non sono incoraggianti visto che la velocità pare possa calare drasticamente.
Il calo di velocità si dovrebbe manifestare in curva a causa di auto più piccole e che generano minor downforce. Ma potrebbe rendersi palese anche in rettilineo visto che, per come sono configurate le norme motoristiche, l’internal combustion engine, in alcune circostanze (tracciati con tratti full gas molto lunghi) potrebbe diventare una sorta di organo ausiliario dell’MGU-K, l’unico motogeneratore elettrico che rimarrà dopo l’abolizione dell’MGU-H.
Red Bull: il contrasto interpretativo tra Newey e Waché
Proprio per evitare che la power unit “soffochi” il legislatore sta pensando di aumentare la portata dell’aerodinamica attiva. Cosa per la quale, come evidenziato nella parte iniziale di questo scritto, Newey s’è detto possibilista, capendone – e forse anticipandole – le potenzialità. Evidentemente il tecnico inglese riesce a vedere più avanti e la sua storia professionale personale lo dimostra. Waché, invece, vede nelle ali mobili un palliativo che non risolve i problemi, ma li maschera.
“Non si possono mettere pezze su pezze per ottenere qualcosa – ha spiegato Waché ad Autosport – Bisogna guardare al problema con una visione più ampia e chiedersi come sia possibile risolverlo e di quali caratteristiche ha bisogno l’auto per raggiungere qualcosa. Se hai bisogno di una pezza per superare un problema puoi comunque farlo in un secondo momento, ma non parti da quello. Altrimenti non funzionerà mai”.
Pierre Waché è intollerante al modo di procedere del legislatore poiché sottolinea una problematica che su FormulaUnoAnalisiTecnica era stata già evidenziata: la discrasia temporale tra il regolamento motoristico già definito nel merito e quello telaistico-aerodinamico avvolta ancora in una fitta nebbia.
L’ingegnere francese critica la mancanza di una visione d’insieme poiché ritiene che sia stato un errore grosso quello di non sviluppare i testi normativi di pari passo. Anche perché le ricadute di un’area sull’altra si faranno sentire generando potenziali ritardi o problemi d’affidabilità.
Dal quadro sopra presentato è quindi evidente che in Red Bull, almeno a livello puramente teorico, non c’è una comunanza di pareri nel board tecnico. Quella che però potrebbe essere una limitazione, a Milton Keynes verrà di certo vissuta come la possibilità di spremere ulteriormente le meningi per trovare una sintesi futura dalla quale sfornare altri gioielli come la RB19. Se Adrian Newey ha scrutato degli elementi positivi nell’aerodinamica attiva allora la concorrenza avrà di che preoccuparsi…
Autore: Diego Catalano – @diegocat1977
Foto: F1, Oracle Red Bull Racing