Ferrari ha pronta la risposta alla Red Bull in F1. In attesa di scoprire la bontà del lavoro svolo sula SF-24 EVO e di capire le novità che saranno proposte dal team austriaco nel prossimo appuntamento di Imola, la scuderia di Maranello lo scorso venerdì ha effettuato lo shakedown di quella che, a ragione, viene considerata una versione 2.0 della vettura italiana. Diverse le aree della monoposto che sono state oggetto di “chirurgia aerodinamica”, al fine di estrarre maggiore potenziale della rossa. Questo premesso che nell’era delle vetture ad effetto suolo molta della performance è garantita galla geometria del fondo vettura.
Macro componente sulla quale dobbiamo ancora attendere il prossimo Gran Premio di F1 per saperne di più. Gli ingegneri della Ferrari hanno compiuto un grandissimo sforzo per portare in pista, il prima possibile, una soluzione che ricalcasse l’idea Red Bull partorita dalla mente geniale di Adrian Newey. Parliamo degli “shark inlet” per ottimizzare l’aera del sottosquadro e aumentare l’effetto outwash. La RB20 è stata presentata a metà Febbraio ma solo a partire dalle prime gare si è iniziata a comprendere la reale geometria delle microscopiche prese d’aria nelle pance, nascoste sotto una sorta di vassoio peraltro camuffato saggiamente dalle immagini rilasciate.
Come da prassi, la storica scuderia italiana ha iniziato a progettare lo sviluppo della SF-24 ancor prima che iniziasse il campionato, studiando questa soluzione ancora prima di vederla sulla Red Bull, grazie alle info raccolte da ex tecnici di Milton Keynes passati alla rossa in inverno. Dopo aver verificato la correlazione tra galleria del vento e CFD sono partiti lavori. Lo studio delle soluzioni è sempre importante, potendo replicare impostazione tramite il reverse engineering. La GES ha testato, evidentemente con successo, l’integrazione di interessanti concetti della concorrenza attraverso un approccio progettuale interessante.
F1, l’approccio adattivo della Scuderia Ferrari
Una stagione di F1 è una gara di sviluppi che richiede adattamento e miglioramento costante per poter incrementare la performance della monoposto. Alla vigilia della stagione, i team sviluppano le loro vetture per la competizione attraverso design e simulazioni, penalizzati dai “limited on-track testing”. Le squadre arrivano alla prima gara della stagione con i frutti del lavoro di sviluppo pre-stagione. Ma questo non è assolutamente il prodotto finito. Le monoposto sono una sorta di prototipi e durante l’annata le auto evolvono continuamente, attraverso modifiche meccaniche e aerodinamiche.
Una semplice domanda si fa spazio nel corso dello sviluppo di una vettura di F1: “Quanto ipotizzato consentirà alla monoposto di essere più veloce?”. Le scuderie hanno diversi dipartimenti all’interno delle rispettive factory che devono cooperare per creare il prodotto finale. Per assicurare un’efficace collaborazione inter funzionale, i leader di queste unità si riuniscono più volte al giorno, in rapidi stand-up meeting, per parlare dei progressi e delle necessità. I team di F1 come sono un benchmark in termini di chiarezza organizzativa che consente velocità e agilità.
In tal senso il lavoro di Frederic Vasseur con la Ferrari è stato fenomenale. Già nel corso della passata campagna, nonostante la SF-23 fosse un progetto con difetti strutturali di certo importanti, il team riuscì a produrre uno sviluppo significativo comprimendo i tempi di realizzazione di due settimane , riuscendo a portare in pista la versione “B” della monoposto in occasione del Gran Premio di F1 in Spagna. Anche la nuova versione SF-24 EVO rappresenta il frutto di un approccio alla progettazione agile (adattivo, nda), al quale il team si sta abituando ad operare.
Inserire nel proprio concetto di sviluppo della vettura idee provenienti dalla concorrenza non è affatto un esercizio banale. Si corre innanzitutto il rischio di invalidare al simulatore la bontà del pacchetto di aggiornamenti, studiato subito dopo l’acquisizione dei primi dati in pista. Inoltre, richiede una compressione sulla tabella di marcia inizialmente fissata, in quanto il design diverge da quello inizialmente ipotizzato. La Ferrari, pertanto, ha deciso di cambiare pelle in tal senso, iniziando a lavorare in F1 secondo i seguenti paradigmi:
Migliorare il flusso delle informazioni attraverso regolari riunioni interattive collettive. Delegare potere decisionale e autonomia agli individui e ai team. Dare ai collaboratori della prima linea le informazioni di cui hanno bisogno per prendere le decisioni giuste, in modo continuativo. Migliorare la collaborazione tra i gruppi di lavoro in F1 creando efficaci team inter funzionali, costruendo solidi canali di comunicazione tra di loro.
Mantenere i processi snelli e le regole semplici. Fidarsi dei collaboratori e liberarli da regole inutili che sono progettate solo per prevenire alcuni casi limite. Ottimizzazione del tuo ciclo di vita dello sviluppo del prodotto riducendo il tempo di apprendimento. I dati guidino le decisioni. Creare una cultura non colpevolizzante in cui i tecnici siano incoraggiati a sperimentare. Adottare una prospettiva di pensiero sistemico quando si impara dal fallimento.
In base ai suddetti principi che non sono solamente “best practice” organizzative, il dirigente francese originario di Draveil, team principal della storica Scuderia Ferrari, ha rivoltato come un calzino la gestione sportiva e, grazie alle sue abilità organizzative e di comando mostrate in questo anno abbondante al timone della rossa, è riuscito massimizzare l’efficacia del team in termini di performance e implementazione del prodotto. Grazie a questo e la prontezza astuta dei tecnici arrivati da Red Bull, la SF-24 è la prima monoposto che in tempi molto brevi mostra una soluzione aggressiva di un competitor.
Autore: Roberto Cecere – @robertofunoat
Immagini: Scuderia Ferrari – F1